Questa non è una provincia per giovani
Gli Scumma Do Mar su Napoli, l’emo e un orango tristissimo
Le province sono un po’ tutte uguali.
Vivo da sempre a Vigevano, un’isola nel mare di risaie che è la Lomellina, una di quelle cittadine che nonostante un bel centro storico e un castello rinascimentale condivide quella caratteristica tipica della maggior parte delle province: non ci succede mai niente, e se succede qualcosa difficilmente è davvero interessante o nuova. Per questo, quando lo scorso luglio sono andato a un concerto proprio nel cortile del Castello Sforzesco non mi informai per nulla su chi venisse a suonare. Ignoravo cosa fosse il Thru Collected, il collettivo/casa discografica napoletana a cui erano associati questi artisti, e soprattutto ignoravo chi fossero gli Scumma Do Mar. E sono contento di questo, perché altrimenti non avrei avuto la sorpresa di trovare un gruppo midwest emo che desse uno show così nella stessa misura nostalgico, energico e ironico. E rimasi talmente sorpreso ed elettrizzato che dopo il concerto andai a chiedergli se volessero essere intervistati, e forse perché ancora storditi dalla performance, forse perché intimoriti dal sottoscritto, forse perché sorpresi anche loro, hanno accettato.
Saltiamo quindi a poche settimane fa, quando la nostra redazione si trova su Discord insieme a G. (voce), Aba (chitarra), Pino (chitarra), e Boris (batteria), con unico assente Valerio (basso). Scambiandoci i primi convenevoli vedo dalla webcam G. che fa la Kamehameha con la luce del lampadario, presagendo il tono che avrà questa intervista.
Buona lettura,
Luca Firpo e la redazione
Come e dove nascono gli Scumma Do Mar?
Aba: Gli Scumma Do Mar nascono intorno al 2017, all’epoca eravamo io, Pino e Boris che, per quanto avessimo dei passati musicali e delle necessità espressive piuttosto diverse, ci trovammo piuttosto bene assieme suonando una sorta di progressive rock. Più avanti ci siamo spostati verso un sound decisamente più punk, e continuavamo ad aver bisogno di un cantante in formazione. Tramite Valerio siamo entrati in contatto con G. e fine della storia.
Boris: Anche Valerio lo abbiamo incrociato per caso. In quel periodo lavoravo come ragazzo delle consegne nel quartiere del Vomero e lo incrociavo sempre in mezzo alla strada a non fare un cazzo tutto il giorno.
A.: Confermo. Ricordo benissimo di averlo incrociato in un angolo buio che si ascoltava i Korn dalle casse del telefono, giusto per farvi capire il personaggio.
B.: Era praticamente una sorta di eminenza grigia che vagava per Piazza Medaglie D’Oro. Un giorno l'ho puntato, mi ci sono avvicinato e gli ho detto: «Senti frà, io suono con ‘sti due miei amici Aba e Pino - che conosci sicuramente, vuoi venire pure tu?» E lui ha accettato! Pure G. adesso lo vedete che sembra una persona quasi normale, ma a 16-17 anni era davvero un personaggio ridicolo con questi capelli lunghi fino al culo - e poi sembrava un ragazzino completamente deviato da TikTok in un periodo in cui TikTok neanche esisteva.
B.: Era il bambino prodigio della situazione. Siamo stati noi molto bravi ad accalappiarlo dentro appena abbiamo visto in lui il minimo germoglio di talento e ce lo siamo tirati sù, lo abbiamo inserito suo malgrado in questo gigantesco incubo che sono gli Scumma Do Mar.
Come nasce il nome Scumma Do Mar? Dalla regia (i due napoletani della redazione) ci dicono che letteralmente si traduce con Schiuma del mare, è giusto?
G.: (Dopo un istante di silenzio abbastanza lungo per far emergere un po’ di imbarazzo arriva secca la risposta) È la sborra, è la sborra!
A.: Sì, faceva parte di un elenco di nomi che ci piacevano per come suonavano. Avevamo semplicemente bisogno di un nome, così abbiamo iniziato a proporre parole a caso, e forse solo in seguito ci abbiamo costruito sopra una narrazione. Ma tutto nasce nel più puro cazzeggio.
Pino: C’è sicuramente un certo grado di ambiguità voluta.
B.: A Napoli si dice anche: «Tu si’ a scumm’ ’e gente» per dire ad una persona che fa schifo. E quindi era un po’ una presa in giro auto-ironica per dirci che facciamo schifo, più un twist poetico perché stamm a Napule e allora ci butti in mezzo il mare. Forse nacque dallo sforzo collettivo di Pino e Aba, anche se ricordo sul mio quadernino che tra le proposte avevo anche inserito tipo “Scummania”. Poi c’è anche un elemento portoghese: schiuma in portoghese si dice espuma ma do mar è praticamente uguale. Quindi vabbè, parallelo Napoli-Rio De Janeiro e chest’è.
A.: Abbiamo tutta una lore portoghese perché Boris è un grande language nerd ed è fissato col Brasile.
Avevamo notato questa cosa del portoghese da vari elementi. Dalla bio di Spotify ad esempio, oppure il video su Instagram dove Boris parla in portoghese. Ci ha colpiti in particolare, sotto il video di Pinago, un tizio che sembra tipo il vostro più grande fan portoghese…
B.: Quella sotto al video in realtà è la mia ragazza!
(Improvvisamente si ergono enormi e delusi versi di disappunto da parte di tutta la redazione)
A.: Però esiste una persona portoghese che ha commentato tutta una serie di video nostri, sulle canzoni singole che vengono automaticamente caricate su YouTube.
B.: Passo praticamente tutto il tempo a parlare in portoghese con gli altri anche se loro non capiscono mezza parola di ciò che dico. Fa troppo ridere, è veramente la lingua più bella del mondo, forse solo seconda al cinese mandarino, che ha un suono ancora più ridicolo. Nelle canzoni degli Scumma Do Mar c’è una vena latina in certe forme ritmiche che amo suonare, tipo le clavi del Baião, o le forme classiche della samba e della bossa nova. Sono cose che ho anche studiato molto quando frequentavo ancora la scuola di batteria a Napoli.
A.: Anch’io nella mia formazione ho iniziato studiando il basso jazz, e di conseguenza tutta una serie di ritmi latini. Non li utilizzo tantissimo in generale, ma mi permettono di seguire Boris quando li suona e di sincronizzarmi con lui.
B.: Per me è paradossale che non ci siano più gruppi che sperimentano la fusione tra la musica latina e l’emo punk. Dopotutto se ascolti la bossa nova brasiliana degli anni ‘70 è roba davvero triste in culo [sic], più che emo! Sono due cose che si sposano perfettamente ma che pochissimi mischiano davvero.
(A questo punto non potevamo esimerci dal consigliare ai ragazzi, e già che ci siamo anche a voi lettori, l’ascolto di “Estudando a América do sul” degli Arabia Saudade, un disco che sembra uscito dalle più remote fantasie di Boris e che abbiamo recensito in una delle primissime uscite della zine.)
Dato che abbiamo parlato di influenze, quali sono i vostri punti di riferimento principali?
G.: Sicuramente l’amore per il math/midwest emo ma alla fine non è neanche musica che ascoltiamo così tanto. Forse i Do Nascimiento sono la band che ci accomuna tutti.
A.: A livello di sonorità partiamo tutti da punti di vista diversi e abbiamo lavorato molto per armonizzarci e creare un suono nuovo. Alcuni di noi vengono anche da strumenti diversi. Per esempio io ho studiato basso ma nel primo disco suonavo la chitarra baritona e solo su “Gamba Tesa” (Thru Collected, 2024) sono passato alla chitarra elettrica. Pino ha sempre suonato la chitarra ma la interpreta molto fingerstyle ed è più vicino ad uno stile folk. E poi abbiamo G. che, anche per questioni anagrafiche, è molto vicino all’elettronica e per lui ad esempio è scontato che ci siano dei suoni elettronici in un pezzo, mentre io tendo sempre a vederli come un’aggiunta facoltativa.
B.: Nominerei anche i Don Caballero almeno come idea, sebbene la loro sia una musica molto diversa dalla nostra. Citerei i Toe, gli Sports che sono uno dei miei gruppi preferiti anche se fanno una musica più diretta della nostra, i Polvo che amo tantissimo, gli Hella e in generale tutta quella scena di math rock anni ‘90 molto più abrasivo e legato al noise rock sperimentale.
A.: I Verme, tutta la parte di anthem urlati del nostro primo disco viene direttamente da quel filone di emocore italiano.
Non vi è mai venuto in mente di suonare qualcosa di diverso, di trasformare il progetto Scumma Do Mar in qualcosa al di fuori degli schemi emo/math?
G.: Una volta abbiamo organizzato questo piccolo concerto dove portavo una serie di miei brani da solista dove eravamo tipo tutti tranne Valerio - che probabilmente era a fare soldi da qualche parte.
B.: Avevamo tutti addosso dei baffi finti (a parte io che i baffi li ho) e ci presentammo come “G. Polline con NON ASSOLUTAMENTE gli Scumma Do Mar”.
A.: La musica di G. è molto più cantautoriale, vicina ai Fleet Foxes o a Madison Cunningham. Comunque credo di no, sicuramente stiamo delineando una serie di elementi nelle canzoni nuove che stiamo scrivendo che crediamo rappresentino una versione migliorata di ciò che abbiamo fatto su “Gamba Tesa”, ma penso resteremo sempre un gruppo emo.
Siamo entrati in contatto con voi grazie a Luca che è venuto al vostro concerto di Vigevano praticamente a scatola chiusa. Era molto stupito dal fatto di avere un concerto emo lì, in una città della Lomellina dispersa in mezzo alle risaie. Come ci siete arrivati?
G.: Stavamo aprendo per Alice che era l’evento principale. Abbiamo solo fatto da tappabuchi!
A.: Vabbè dai, tappabuchi è esagerato! Semplicemente c’è una relazione tra la nostra etichetta Thru Collected e l’organizzatore Laroom di Vigevano, che possiede tutta una serie di contatti con altre realtà napoletane.
Secondo voi c’è una qualche correlazione tra la desolazione del midwest emo con quello della vita in provincia?
B.: Nel Nord Italia c’è una grande cultura punk, non a caso le prime scene di hardcore punk italiano nascono lì. C’era un certo tipo di identità culturale, gruppi di persone che si costruivano un seguito anche attraverso uno stile di vita alternativo. Mentre ad esempio a Napoli è sempre stata una cosa squisitamente di nicchia, e te lo dico perché io tutta la scena emo di Napoli la seguivo molto quando ero al liceo, 2012-2013 circa.
A.: Era praticamente tutto metalcore! Ma poi per assurdo anche Napoli si comporta come una provincia nonostante abbia quasi un milione di abitanti. Ricordo che quando avevo sedici anni vennero a suonare i Gazebo Penguins in città e rimasi felicemente stupito, per quanto il loro seguito all’epoca fosse notevole. Napoli è una città molto grande e polivalente ma sottosviluppata a livello musicale, con pochi generi che riescono davvero ad emergere ed esprimersi.
B.: Tra l’altro coi Gazebo Penguins ci abbiamo anche suonato il giorno prima di venire a Vigevano, all’Oltrerock di Castana [provincia di Pavia, ndr]. Un posto sperduto nel niente ma incredibile, mentre da noi quella cultura proprio non esiste se non estremamente frammentaria e isolata.
A.: Ci sono tantissimi “mini movimenti” che però si risolvono in spazi e scene molto chiuse. Non c’è l’idea della sala da concerto dove ospitare gruppi di diversa natura e la cultura dominante è invece quella del centro sociale, che ospita tutti gruppi allineati e all’interno di un certo genere. Non dico che questa cosa sia positiva o negativa, ma sicuramente non dovrebbe essere l’unica strada.
E in questo scenario particolare quanto direste che ha contribuito la Napoli musicale dei negozi di dischi o dei posti per fare live nella vostra formazione?
G.: Guarda, io non ho mai trovato un vero punto di ritrovo per parlare di musica. Mi viene in mente la Fonoteca [negozio di dischi del Vomero, ndr] che è un bel posto ma non è qualcosa che mi appartiene come ragazzo di ventitré anni e che ascolta un certo tipo di scena. Uso più che altro YouTube per scoprire nuova musica o frequento ambienti online.
B.: Napoli è particolare da questo punto di vista, la musica è molto intrecciata a doppio filo col folclore, e come risultato i concerti li fanno i neomelodici o comunque chi semplicemente sfrutta questa cosa a suo vantaggio. L’ambiente musicale quindi non è mai realmente vissuto, è solo una cosa che sta lì a far da sfondo ad una roba che per fare presa deve essere usa e getta e spettacolarizzata. Ma rimane il fatto che c’è moltissima cultura napoletana a Napoli - cioè scusate (ride) - volevo dire che c’è tanta cultura musicale a Napoli oggi, anche se noi siamo cresciuti in un periodo sfigato dove davvero non c’era niente. Qualche occasione in giro la trovi anche, ma non fanno parte di un ambiente stabile e che può crescere come sono Roma o Milano. Tant'è vero che molti di questi posti hanno ormai chiuso e dopo il COVID le sale prove sono praticamente tutte quante morte. Non c’è neanche più uno spazio per fare freestyle quando fino a 10 anni fa a Napoli c’erano battaglie di freestyle ovunque. La nicchia è una cosa importante e va vissuta, ma quando si aggrappa troppo stretta ai propri santini e ai propri feticci basta che il vento tira un attimo dalla direzione opposta e tutto salta per aria.
A: Alla fine ogni cosa rimane in mano a quelle poche personalità che organizzano eventi, che però ad un certo punto si trovano a lottare con una realtà che quasi rifiuta i loro sforzi di creare una collettività, finché semplicemente non si rompono il cazzo, lasciano tutto ed è come se nulla fosse mai successo. I pochi posti che vanno avanti lo fanno perché non fanno mai il passo che potrebbe metterli in difficoltà, tipo il Mamamu che è lì da venticinque anni.
B: Per dire, io adesso vivo a Bologna che è una città grande meno della metà di Napoli ma con cinquecento cose in più da fare. È proprio un discorso di mentalità.
A.: Io vivo a Lione, che fa solo trecentomila abitanti o poco più, e ci sono concerti ogni giorno. Sono stato recentemente a questo concerto dei Thy Art Is Murder insieme ad altri gruppi e, nonostante fosse un mercoledì, il locale era pieno! Probabilmente a Napoli trovi lo stesso numero di fan del metal estremo ma banalmente non ha gli spazi e i mezzi per gestirli.
(Luca:) Quando ci siamo incontrati a Vigevano mi ha colpito molto una cosa che avete detto dopo il concerto: «Meno male che è piaciuto perché noi crediamo di aver suonato relativamente male.» (Boris ride fragorosamente in webcam) ed è un concetto che avete espresso anche a Radio Raheem riguardo a “Gamba Tesa”. Esiste una versione degli Scumma Do Mar perfetta? C’è una meta alla quale ambite artisticamente o tecnicamente?
A.: Sto finendo di leggere questa biografia su come è stato composto “Spiderland” degli Slint e parla delle loro prove da otto ore al giorno per un anno di fila. È vero che è un’esperienza che si racconta di molti gruppi, perfino dei Nirvana, però penso sia una tensione che ci accumuna tutti nella band questa idea di impegno quotidiano. Siamo un po’ ossessivi-compulsivi verso la musica che vogliamo fare, ma anche se cerchiamo sempre il perfezionismo c’è un’energia che ci spinge a lasciare certe cose così come sono e semplicemente goderci il momento. Non credo ci sia un punto di arrivo, è un equilibrio tra la gioia di portare la nostra musica in giro e il malessere di non essere riusciti a eseguire un certo passaggio così come avremmo voluto.
G.: Và anche detto che siamo molto presi sui testi delle canzoni e spesso ci stiamo dietro molto più tempo del lato compositivo/strumentale.
Proprio sui testi abbiamo notato tra l’esordio (“Scumma Do Mar”, 2021) e “Gamba Tesa” l’emergere della nostalgia laddove prima si respirava un’aria più ironica e disinteressata. È una maturazione artistica o personale?
G.: Io ho avuto molto più spazio nei testi nel secondo disco, magari è stato questo, no Boris?
B. No, non è stato quello!
A.: Io ho scritto un sacco di cazzate nei primi, un sacco di robe veramente nonsense. Invece nel secondo dato che erano i primi mesi a Lione la roba che ho scritto, e la roba che scrivo tuttora, è tutta iper nostalgica.
B.: È per questo che ogni volta che Aba manda un testo diciamo: «Fra’ aspetta, cerchiamo di capire un attimo» (ride). Ora dico una cosa che credo non abbiamo mai affermato pubblicamente. Febbre, canzone presente nel nostro primo disco, nella sua prima versione diceva: “Mani pulite ’96 / guardo solo porno gay”. Questo vi fa capire il livello del primo album. Sempre in Febbre c’è una parte che dice (si inserisce Aba): “Ma tu mi volevi perfetto, ma tu ogni giorno un difetto, guardami allo specchio. Lo vedi un orango che voleva fare festa”. (Riprende Boris) Questo testo è stato ispirato da una foto bellissima che era nella sala dove abbiamo registrato l’album, c’era questa signora in una foresta che teneva in braccio un’orango tristissimo che guardava a terra depresso come la merda, e il meme tra di noi era: «Ma lui voleva solo fare festa!» Dopodiché sono testi comunque ermetici, che cercano di esprimere la realtà del nostro stato d’animo mentre li scriviamo. Per esempio in Numero 83 il testo racconta una storia in prima persona e parla di suicidio, ma lo stile è davvero cazzone. Anche per questo non potrà mai esistere una forma “Super Saiyan” degli Scumma Do Mar, ci conosciamo troppo bene per non scherzarci sopra, ci piace non prenderci mai troppo sul serio.
Allora proviamo a fare i seri: proponeteci il vostro super-gruppo emo ma composto solo da calciatori del Napoli.
A.: (senza alcun velo di imbarazzo) Io non li conosco i calciatori del Napoli.
B.: Vedrei bene Cavani alla chitarra, magari coadiuvato da El Pocho Lavezzi!
G.: Poi Kim Min-jae alla batteria.
B.: Io ci metto Higuaín, alla voce perché dei cantanti non ci si può fidare.
G.: Io sono molto indeciso, anche perché Anguissa potrebbe essere un grande bassista. Anche per via di questo odio/amore perenne che si prova per Anguissa, per cui ogni tanto è tipo il migliore del mondo, ogni tanto è una lota, come tutti bassisti alla fine.
A questo punto dell’intervista la discussione degenera in meme e bagordi vari, gli Scumma Do Mar non ci parlano più, parlano tra di loro, e forse è sempre stato così fin dall’inizio. Non è mai avvenuta nessuna intervista, non c’è stato alcun dialogo, ma piuttosto abbiamo assistito a un altro concerto, un’improvvisazione tra il serio e il faceto dove biografia, musica e amicizia hanno il sapore effimero e magico del qui e ora, imponente ma impalpabile come la schiuma del mare.
Intervista a cura di Luca Firpo con la collaborazione della redazione.
Come sempre un grande grazie dal cuore a tutti i lettori e le lettrici che ci seguono, speriamo che questa sgangherata intervista vi abbia incuriosito. Vi ricordiamo che Ubu Dance Party è anche un canale YouTube, un progetto che cura un programma radiofonico sulla musica per videogiochi su Fango Radio e che tra poco partirà il nuovo laboratorio gratuito di giornalismo musicale. Grazie ancora per il passaparola e il sostegno al progetto.