Sembra facile venerare la cenere del post punk che fu, di quella scena che ruppe i paradigmi del punk in un modo che tutt’oggi risuona come iconico. Proprio per questo i Maruja preferiscono muoversi tra gli interstizi dei generi, giocando con le ibridazioni senza l’urgenza di riprodurre un’estetica, ma con la spontaneità di un gruppo garage di periferia e la geometria euclidea del post - punk, rock o jazz che sia.
Harry Wilkinson (voce e chitarra), Joe Carroll (sassofono), Matt Buonaccorsi (basso) e Jacob Hayes (batteria) sono quattro amici e musicisti che si sono formati a Manchester, raccordo urbano dove s’incrociano le tensioni della Brexit, tangenziali di promesse non mantenute, via di fuga sull’immigrazione, per poi ritrovarsi nella vicina scena di Windmill che sta incantando la critica rock di mezzo mondo. Ma è deontologicamente corretto identificare i Maruja nel calderone del post punk inglese?
La band stessa non si vede partecipe della scena, ed effettivamente la commistione stilistica di questi quattro ragazzi poco ha a che fare con i soliloqui alla Slint dei Black Country, New Road, o la stravaganza zappiana dei Black Midi, non si rifanno alla tradizione come i Fontaines D.C., e neanche paiono interessarsi del potenziale pop insito nelle derive garagiste del genere (Wet Leg). I Maruja nel post punk inglese non c’entrano nulla, nisba, zero, ma per prossimità geografica e similitudini strutturali (l’uso dei crescendo mutuato dal post rock e la timbrica dark che comunque ricorda la scena inglese degli anni ‘80) sarà con quest’etichetta che verranno probabilmente ricordati dai posteri.
Buona parte dell’interesse che si sta creando attorno alla band è i parte dovuto alle loro esplosive performance dal vivo, che li hanno proiettati nel giro dei locali giusti per farsi notare. Senza un album a segnare il definitivo passaggio di maturazione (perché così vuole la consuetudine), la storia discografica dei Maruja è al momento ancora breve, ma al contempo straordinariamente intensa.
I can feel it in my soul, I take two steps back to take three more
The blood in art, the song stays true
You gotta feel this meaning, this one's for you
Tao è il primo segno, il graffio nevrotico di una band che sta cercando un equilibrio tra il cantato dei The Fall e il ritmo tecnico e sostenuto dei Black Midi, proponendoli insieme a elementi già originali e riconoscibili. La composizione si basa essenzialmente su una serie di improvvisazioni che non vengono poi totalmente rielaborate, ma restano come spunto per la scrittura, cercando una sintesi tra immediatezza e progettualità. Per quanto derivativo, questo primo singolo porta subito a galla il valore cardine della band: senza anima non c’è musica. Non è solo un approccio, è una filosofia, è il loro «Tao» (道, «la Via»). Il singolo esce autoprodotto nel 2020, pochi mesi dopo seguirà Rage.
Sempre nel giochino critico delle prossimità Rage si avvicina nella parte testuale agli inni politici dei primi IDLES, andando a scontrarsi con la cultura inglese maschilista, xenofoba e fonte imperitura di nuovi pregiudizi. È comunque solo un accenno, una forzatura che nasce più dalla vicinanza (di nuovo) geografica che da una vera e propria direzione musicale. Stavolta la sezione ritmica è più diradata e tecnica, il sassofono quando non la segue crea stati di sospensione ben lontani dagli inni da curva Nord degli IDLES. Rinviene la crisi sociale dei The Fall, ma la voce stavolta si riscopre su un registro più corale e meno declamato. In pochi mesi i Maruja mettono in chiaro che non seguiranno un copione, che non c’è un canovaccio, la compagnia si recherà di città in città con uno spettacolo sempre diverso, mai uguale a sé stesso.
Il nome dei Maruja inizia timidamente a girare, ma non c’è ancora una grande attenzione attorno al progetto. Questo cambierà nel 2023, quando dopo una serie di singoli ben piazzati nell’anno precedente metteranno a fuoco un EP che li trascinerà in un fitto passaparola tra blog, siti e zine, fino alle firme della critica internazionale. Il primo passo è precoce, con Blind Spot che esce nel gennaio 2022, proseguendo il percorso mutevole della band e il loro «Tao», la loro missione di stupire e non assomigliare a nessuno. Con una commistione timbrica più simile ai Morphine e una vivacità ritmica ancora più intricata di Rage, gli elementi jazzistici qui si fanno più prominenti e caratterizzanti, e i crescendo-diminuendo meno prevedibili e più raffinati.
Principia l’estate e su Bandcamp esce anche la strumentale The Tinker. Stavolta l’afflato jazz permea il pezzo fin dall’inizio, sembra quasi un’introduzione sullo stile di Leland Whitty se non fosse per il morbido crescendo da post rock cinese - sullo stile dei FAZI di “Folding Story” (Space Circle, 2022). Thunder usciva a novembre del 2022, ed è ancora una volta in opposizione alle aspettative, con un suono moderno tra Algiers, IDLES e il massimalismo dei Crack Cloud contraddistinto soprattutto da un mash-up di generi (math rock? prog? metal?) che lascia spaesati e ipnotizzati per la rapidità d’esecuzione. Proprio quando l’eccesso potrebbe sfociare in improvvisazione i Maruja rifuggono verso l’algidità del post punk. Questa idiosincrasia diventerà ben presto un loro marchio di fabbrica come elemento che può lasciare storditi al primo ascolto, a causa della stratificazione di elementi sonori eterogenei, come dei Viagra Boys ma senza la desinenza “dance” al punk.
Questi tre singoli, assieme a Kakistocracy, diventeranno il primo EP del gruppo: “Knocknarea”, autopubblicato su Bandcamp a marzo del 2023, e fin da subito riconosciuto come una delle espressioni più originali dell’intera scena inglese. Ora, senza per forza smorzare gli entusiasmi, bisogna pur riconoscere che non è che la scena inglese stesse producendo chissà quali capolavori. Giusto gli Squid con “Bright Green Field” (Warp Records, 2021) avevano espresso una alterità a quella che sembrava (e sembra tutt’ora) perlopiù un vero e proprio revival e non una scena di particolare rottura (come invece si sta rivelando ad esempio lo shoegaze coreano/brasiliano). In questo “Knocknarea” è un prodotto sicuramente non banale, ma che sembra promettere più di quanto alla fine riesca effettivamente a mantenere. Non che sia un grande limite, tutto sommato, resta di fatto che i Maruja si stanno divertendo parecchio e noi con loro. E per ora tanto basta.
Il 26 Aprile 2024 esce “Connla’s Well”, nuova autoproduzione fruibile non solo su Bandcamp, ma su tutte le maggiori piattaforme streaming. Il titolo prende il nome da un luogo mitologico dell’Irlanda, un pozzo la cui acqua può garantire conoscenza e saggezza. Come l’EP precedente, raccoglie tre singoli usciti tra il 2023 e il 2024, aggiungendo solo una breve intro e un pezzo inedito. È un lavoro che per diversi aspetti non si discosta troppo dal precedente, ma che gli è anche speculare. Stavolta la tensione e il rilascio emergono naturalmente dalla dinamica interna dei brani anziché essere forzati per ragioni stilistiche, con un ritmo più regolare e organico.
One Hand Behind The Devil e The Invisible Man mantengono una struttura e una tensione simili a quelle già sentite in Blind Spot, ma con un tono più cupo e rancoroso, aiutato dall’uso dello spoken word. Il primo brano sembra quasi scappato dalla scaletta di “Live At Bush Hall” dei (nuovi) Black Country, New Road, ma connotato da una vena noir ormai tipica dei Maruja. Il testo è un groviglio di citazioni musicali e introspezione post rock, seguito diligentemente dalla musica, che ne accentua spigolature e cadute.
One Hand Behind The Devil all’inizio nasconde le sue carte con un tono spiccatamente rock, per poi crollare dismesso in un sogno psichedelico (Thee Oh Sees, Can) pur mantenendo fede a tutti i caratteri del loro sound. Zeitgeist è il pezzo più intenso dell’EP, in cui il gruppo assomiglia a dei The Comet Is Coming diretti da John Dwyer, con ritmi acidi e (a tratti) ballabili. Il sax s’infila tra tessiture arabeggianti sopra le righe e ritorna su una singola nota che accelera costante, furiosa, opprimente. Differenti sono anche le tematiche trattate nei testi: tutti e tre questi brani sono racconti personali, esposti in prima o in seconda persona, che parlano di isolamento, solitudine, ambizione incancrenita, di rancore.
Ed è qui che sta la specularità dei due lavori. Se “Knockarea” investe l’ascoltatore anche con i temi della guerra e dell’impotenza dell’individuo di fronte a qualcosa più grande di lui, “Connla’s Well” parla dell’inadeguatezza dell’uomo di fronte a sé stesso, della rabbia che nasce all’interno di noi, sofferenza e insoddisfazione di chi cerca di imporsi e plasmare il mondo, non riuscendoci. Ma forse proprio qui sta il senso del titolo, la ricerca di una fonte di saggezza come cura da questi mali.
Se i brani finora citati funzionano molto bene e sono abbastanza compatti tra loro, è anche vero che proseguono direttamente la linea stilistica tracciata dai lavori precedenti. Resisting Resistance non è così. È il brano che più si rifà al post rock nel catalogo attuale della band, un crescendo graduale e contemplativo che si apre con un respiro inusuale da sigla anime giapponese, mentre la stratificazione sonora rimanda ai migliori Godspeed You! Black Emperor o ai Sea Power. Proprio questa chiusura, come fece a suo tempo Kakistocracy per "Knocknarea", lascia intravedere nuove traiettorie, nuovi attraversamenti. Non c’è strada che i Maruja non vogliano percorrere, pur tenendo fede al proprio approccio, alla propria spontaneità, al proprio «Tao». Da una parte questo diventa sicuramente mettere un limite, che per alcuni ascoltatori potrebbe rivelarsi frustrante, ma per molti altri (direi, per ora, la maggior parte) rileva uno stile, il loro marchio di fabbrica.
La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono.
Albert Einstein
Sembra quasi che oggi la spontaneità sia al tempo stesso la cifra necessaria per farsi riconoscere al grande pubblico, che una banalizzazione delle possibilità idiomatiche dei linguaggi artistici. Ma non deve essere per forza così. I Maruja emergono da quello stesso ambiente che ha prodotto gruppi copia-incolla di una formula che, dagli IDLES di “Joy As An Act Of Resistance” fino alla deriva mainstream dei Fontaines D.C., ci ha impestato le playlist settimanali di cloni più o meno fedeli agli originali. Eppure lo scopo dei Maruja non è essere diversi dagli altri, ma essere il più possibile fedeli a se stessi. A volte dopotutto non serve chissà quale sforzo intellettuale per raggiungere il proprio obiettivo. Bisogna sapersi fidare della propria intuizione, così come quella di chi condivide con noi lo stesso percorso, sperando che questa alla fine ci mostri la Via da seguire.