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Dopo un periodo di gavetta nei circoli underground inglesi, si formano nel 2019 i Maruja. Subito notati per la qualità delle performance dal vivo, il loro stile si è definito in una formula che comprende e ingloba elementi estetici dal post rock al post punk fino all’hardcore. Una ricetta originale quella dei Maruja, non tanto nelle influenze quanto nell’approccio corale e sperimentale che li contraddistingue. Nel 2023 esce su Bandcamp “Knocknarea”, nuova autoproduzione che salta all’orecchio dei critici e fa il giro del web. Il nuovo EP, “Connla’s Well”, uscirà il 26 aprile. Abbiamo contattato su Discord Joe (sassofono), Jacob (batteria), e Matt (basso), e gli abbiamo fatto qualche domanda.
Avete menzionato in altre interviste che il vostro processo creativo è guidato dalle emozioni, e ciò si risolve in un approccio molto meno meticoloso e scientifico, che cozza con quello tipico di molte altre band. La trovate una vostra caratteristica distintiva o un approccio da superare?
Jacob: La musica che facevamo all’inizio della nostra carriera era carica di energia punk, e si è fatta col tempo sempre più aggressiva, anche per riflettere fatti sociali e politici che stavano succedendo nel nostro paese e nel mondo. Molti nostri pezzi furono scritti durante il periodo della quarantena da Covid-19, e c'era quindi tanta rabbia nei nostri pensieri e, di conseguenza, nella nostra musica. Alla fine, credo che per noi tutto questo sia solo stato un vantaggio. Prima scrivevamo in un modo più classico, qualcuno portava la bozza di un pezzo e pian piano ci aggiungevamo altre parti, ma abbiamo poi scoperto che l'anima che ci metti e la mancanza di protagonismo che c’è quando si improvvisa insieme è inimitabile. Non ti arriva mai il pensiero di suonare una parte super figa senza alcun motivo, slegata dal resto. L’energia di ciò che sta succedendo non ti fa pensare a nient'altro che alla musica che ti circonda e cerchi di unirti a qualsiasi cosa gli altri stiano suonando, a migliorarla in ogni modo possibile.
Joe: Sì, esatto, proviamo a suonare mettendo la musica al primo posto. Quando siamo nella fase di scrittura, capita che registriamo un pezzo anche quando non è completamente finito. Poi lo portiamo in giro e lo suoniamo dal vivo, e la canzone inizia pian piano a cambiare forma. Non puoi pensare che una canzone sia finita se prima non la suoni. Mentre lavoriamo cambiamo i titoli dei pezzi, proviamo a suonarli più velocemente e poi più lentamente, ci suggeriamo nuove idee a vicenda. Per esempio, nel periodo in cui abbiamo scritto Blind Spot, ci erano state rubate delle attrezzature musicali. Eravamo costantemente in contatto con la polizia e stavamo provando a registrare quella traccia da tipo due giorni, ma qualcosa non ci tornava. Quindi l’abbiamo lasciata in sospeso e abbiamo provato a registrarne di altre. Poi ci fu una chiamata con la polizia che ci lasciò molto delusi perché non furono per niente d’aiuto e ci lamentammo insieme al nostro produttore [Samuel William Jones, NdR] del fatto per un’ora o due. A un certo punto Samuel ci disse: «Tirate fuori tutta quell’energia e registriamo ‘sto pezzo!» e venne fuori perfetta. Abbiamo questa capacità di improvvisare, di suonare in maniera viscerale e spontanea, e cerchiamo sempre di metterla al servizio del brano.
Abbiamo notato che le vostre performance dal vivo sono molto teatrali: come avete sviluppato questo atteggiamento? È stata una scelta consapevole o è il vostro approccio spontaneo?
Matt: Diciamo che abbiamo acquisito quest’approccio guardando alcune band che ci piacciono da anni, ispirandoci al loro modo di fare live. Di recente i Fever Ray [gruppo elettronico synthpop svedese, NdR] sono un gruppo che davvero ammiriamo per questo.
C’è qualcosa di speciale nel vivere ogni movimento che fai, ogni parola cantata sul palco, ogni passaggio fra una sezione e l’altra, e tutto ciò riflette diverse energie ed emozioni.
Ci basiamo molto su questo quando scriviamo la nostra musica, diventa quasi un momento spirituale, perciò vogliamo fare del nostro meglio per riflettere le nostre emozioni quando ci esibiamo dal vivo. Anche perché i nostri fan si meritano uno spettacolo, se lo meritano davvero, e noi vogliamo dargli anche di più!
Joe:. C’è questo gruppo che si chiama Lambrini Girls, formato da tre ragazze inglesi. I loro live sono iper politici, di impronta punk old school. Scendono dal palco, vanno in mezzo alla gente e cominciano a parlare di come il Re sia un pedofilo o cose del genere. E tutto questo fa proprio parte della scaletta del concerto! Ne stavamo parlando con Harry [Wilkinson, cantante della band NdR] di provare un po’ più spesso a fare anche noi cose di questo genere. Per esempio ai concerti degli IDLES, c’è un momento in cui Joe Talbot [cantante della band, NdR] grida: «Spaccate la cazzo di folla in due!», e ci è piaciuto talmente tanto da farlo nostro, usandolo quando in Thunder parte la sezione di sassofono.
In rete spesso il vostro lavoro è messo a confronto con quello di Black Midi, Black Country, New Road e tutta questa nuova scena post-punk definita dai critici con le più disparate etichette. Ve ne sentite realmente parte o pensate che sia una invenzione di critici e appassionati?
Jacob: Ci piace descrivere la nostra arte come qualcosa di più spirituale. Abbiamo sicuramente delle similarità con i Black Midi, con il loro sound jazz fusion e math rock, e anche con i Black Country, New Road per i loro elementi progressive e spoken word, ma suonavamo la nostra musica già da prima, senza averli mai sentiti. Credo abbia senso metterci nella stessa scena da un punto di vista geografico, veniamo tutti dal Regno Unito e abbiamo suonato negli stessi locali, come al Windmill [famoso locale underground di Brixton, a sud di Londra, NdR] ma riteniamo che il post-punk sia solo una minuscola parte del nostro sound. Il problema principale di questa assimilazione è che rende il tutto fin troppo inflazionato qui nel Regno Unito. Col poco supporto finanziario dato ai musicisti qui negli UK, gli artisti giovani spesso pensano: «Oh, i Black Midi, Squid e BCNR, stanno andando forte, se voglio fare soldi devo fare quella roba lì». Il risultato è che, personalmente, conosco pochissime band che fanno qualcosa che non sia indie o post-punk.
Matt: È una giusta osservazione dire che sia un’invenzione dei critici piuttosto che una scena vera e propria. L’anno scorso “Knocknarea” ha raggiunto il primo posto della classifica degli EP del 2023 su RateYourMusic.com, e nonostante molti dei commenti siano positivi, ce ne sono alcuni del tipo: «Sono uguali ai BCNR, il sassofonista gli assomiglia pure!». È facile per noi essere raggruppati dentro questa categoria, ma come ha detto Jacob, il post-punk è diventato il nuovo indie rock qua nel Regno Unito. Il mercato è pieno di band che provano a emulare lo stile di un artista specifico. Gruppi come Black Midi e BCNR hanno sicuramente catturato la nostra attenzione e cambiato la scena musicale nel Regno Unito, li rispettiamo per questo, ma noi cerchiamo sempre di fare qualcosa di originale, ascoltando musica nuova e cercando di amalgamare a meglio le nostre influenze.
Per qualsiasi artista emergente è difficile bilanciare le finanze e trovare il tempo per seguire la propria arte. Come fate a bilanciare crescita artistica e vita quotidiana?
Jacob: Sì, è difficile perché non abbiamo soldi, e neanche il tempo per lavorare e guadagnarceli. Gli impegni più grandi col gruppo sono arrivati solo l’anno scorso, con l’uscita di “Knocknarea” e i seguenti due tour per sponsorizzarlo. Per il resto facevamo giusto qualcosina come lavoro freelance qui e lì, ma nemmeno troppo. In più, vivere a Manchester non aiuta. Non sono cresciuto qui, ma mi ci sono trasferito quando avevo 18 anni, e vi posso assicurare che qui è davvero molto difficile vivere di musica. L'industria è a Londra e noi, pur avendo suonato al Windmill, siamo troppo distanti da lì e non abbiamo tutti i vantaggi che derivano dal vivere la scena londinese. Band come i Black Midi hanno avuto il vantaggio di vivere a Londra da quando hanno iniziato a scrivere musica, frequentando i locali migliori del paese per suonare, in cui tutte le persone legate all’industria potevano andare a vederli. Non intendo screditarli in nessun modo, voglio solo dire che per noi che abitiamo a 300 chilometri di distanza è molto diverso. Fino all’anno scorso lavoravamo tutto il tempo.
Andavo all’università, lavoravo cinque giorni a settimana, finivo alle 18, andavo in studio alle 19 e provavamo fino alle 23.
Tornavo a casa a mezzanotte e di nuovo così per altri tre o quattro giorni a settimana. Ma abbiamo dovuto far così per arrivare dove siamo ora, a un punto in cui cominciamo appena a guadagnarci un po’ di soldi. È un periodo molto difficile, non c’è tanto supporto nel Regno Unito per gli artisti. Per il nostro governo la privatizzazione e il capitalismo sono la priorità principale, e non c’è nessuna sorta di aiuto, come ad esempio accade in Francia. Stiamo cercando di cavarcela con le risorse che abbiamo. Harry ad esempio vive con i suoi, e abbiamo tutti continuato a fare musica grazie ai nostri genitori, che ci hanno aiutato e supportato. Siamo ad un punto cruciale della nostra vita, e speriamo di diventare totalmente indipendenti quest’anno.
Matt: Jacob ha detto praticamente tutto. È difficile per nuovi gruppi e artisti emergere nell’industria musicale, specialmente nel Regno Unito. Pensate all’affitto che bisogna pagare per le sale prove. Devi avere un lavoro, anche part-time, per fare soldi. Di per sé non è una cosa negativa, ma se sei un artista e devi bilanciare il lavoro con le prove ogni settimana, fare progressi nella tua carriera da musicista diventa estremamente stressante, e comincia a passarti la voglia di andare alle prove, oppure non ce la fai più ad andare a lavoro. Diventa tutto molto deprimente.
Dove trovate la qualità nella musica? Cosa andate a cercare quando ascoltate o create musica?
Jacob: Harry lo dice spesso, però non è qui con noi quindi lo dirò io al posto suo: l’anima. E’ qualcosa che è difficile da spiegare se non entri in sintonia con l’artista. Per questo ci piace ascoltare jazz, hip hop old school, ma anche rap più moderno, blues, punk, post-punk, hard rock e musica classica. La cosa importante non è il genere, ma più come l’artista riesce a trasmettere sé stesso tramite la musica. All'ascolto è subito evidente se l'anima c'è o meno. Molte band suonano come gli IDLES, ma non suonano come gli IDLES. Puoi avere la stessa formula, ma se non ci credi davvero e non senti ciò che stai dicendo e suonando non sarai mai genuino nella tua arte. Questo è l’aspetto principale della buona musica per noi.
Se il processo creativo è puramente metodico e si basa sul fare in modo che la musica sia solo orecchiabile o ballabile, non c’è niente di sincero.
Matt: Io vorrei approcciare questa domanda da un’altra prospettiva. Avendo studiato produzione musicale, spesso produco molta musica per me stesso, di solito hip hop o house psichedelica. Personalmente la qualità che cerco di più nella musica che ascolto è un sound coeso e chiaro. E se è così, benissimo, ma poi mi chiedo: la struttura della canzone è interessante? Si sta cercando di sperimentare qualcosa di nuovo e unico? Come ha detto Jacob, è facile copiare altri gruppi, il loro stile di scrittura e il loro sound. Ma una cosa che puoi trovare in tutti i generi e le aree della musica è quell’artista che ha rivoluzionato il genere a cui appartiene, sperimentando qualcosa di originale e creando un nuovo standard, mi viene in mente Prince per la musica pop. La qualità può trovarsi in musica di qualsiasi genere, purché l'artista che c'è dietro provi a creare qualcosa di speciale. Poi se ha anche un buon sound è un grande bonus!
Spesso citate influenze diverse per la vostra musica, dalla Mahavishnu Orchestra all’hardcore punk. Pensate che ci sia un approccio diverso alla composizione rispetto al passato, dovuto alla facilità di accesso della musica al giorno d’oggi?
Jacob: Sicuramente è qualcosa che aiuta la nostra scrittura e improvvisazione. Pensiamo a band come i Beatles, negli anni della formazione avevano ampio accesso a vinili importati dall’America, che influenzarono profondamente il loro sound. Era così che si formavano i generi, piano piano alcuni cominciavano ad acquisire quel sound, e questo si espandeva naturalmente. Ora però abbiamo accesso a tutto, e probabilmente è questo il motivo per cui facciamo roba che è un po’ art rock, ma anche jazz e hardcore e tanto altro. Ci sono diversi gruppi che uniscono tanti generi diversi in modo particolare, pensavo che sarebbe stata una nuova corrente, e invece ancora fatica a farsi strada nei gusti degli ascoltatori. Magari questa tendenza cambierà, solo il tempo ce lo saprà dire.
Siete di Manchester, e sicuramente siete degli appassionati di calcio. Quindi, City o United?
Joe: Finalmente qualcuno che ce lo chiede! Ok al mio 3. 1, 2, 3…
Tutti: UNITED!
Joe: Sì, United.
Quale sarebbe un giocatore che descrive perfettamente la vostra musica e la vostra band?
Joe: Gigi Buffon. Sexy, di qualità, un animale! Ha fatto una lunga carriera. Credo sia perfetto.
Grazie di cuore a tutti i lettori che sono rimasti in attesa per questo numero speciale, ma sappiate che per questo mese… non è finita qui! Tra pochi giorni uscirà anche un’analisi della discografia dei Maruja, che comprenderà il nuovo EP in uscita venerdì. Ricordatevi di dare un occhio alla casella mail! A presto.
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