Da sempre gli sconvolgimenti culturali sono stati accompagnati, se non addirittura anticipati, da rivoluzioni tecnologiche. Nella musica per esempio, l'introduzione del fuzz-tone ha permesso a Link Wray di porre le basi per la chitarra rock dei successivi due decenni, mentre la diffusione di massa del sampler ha dato vita alla golden age dell'hip hop.
Molto spesso però il riscontro iniziale è stato tutto meno che positivo; uno dei casi più emblematici fu il concerto di Bob Dylan al Festival di Newport del 1965, in cui si presentò con quello che era considerato il simbolo di una degenerazione culturale: la chitarra elettrica. Se il folk revival era conservatore, autentico e ideologicamente consapevole, il rock era ancora visto come commerciale, amatoriale e infantile, e come tale non suonava strumenti ma giocattoli elettrici. A distanza di 60 anni sappiamo che non è stato così, ma la nostra è una visione ormai storicizzata, ben consapevole delle conseguenze che una svolta del genere ha prodotto sulla storia della musica popolare. Allo stesso modo l’avvento di Napster e della musica liquida furono salutati come l’inizio di una nuova alba, in cui gli artisti si sarebbero finalmente emancipati dalle major e la musica di qualità avrebbe divorato ciò che restava dei prodotti commerciali di inizi 2000.
Come critici però, più che mappare influenze a posteriori (ruolo che lasciamo a storici e musicologi) ci interessa molto di più immergerci nella vastità della proposta artistica del contemporaneo e creare connessioni concrete col presente affidandoci a strumenti di analisi, comparazione e approfondimento. Proprio per questo, l’articolo che state per leggere è un tentativo di fornirvi una scatola di attrezzi critici su uno degli argomenti più vituperati dagli opinionisti del web, ovvero il ruolo creativo dell’Intelligenza Artificiale nel prossimo futuro. Qui non troverete facili apologie o condanne sommarie, giudizi lapidari o invocazioni al miracolo, ma uno sguardo critico al completo servizio del lettore, a far sì che abbia tutti gli strumenti necessari per formarsi un'opinione informata e di qualità.
Contesto storico e suite automatizzate
Cosa si intende per musica generata dall'IA? La storia della musica fatta da algoritmi è infatti sorprendentemente lunga ed intricata - e no, non comincia con ChatGPT. Programmata nella sua interezza sul modello ILLIAC I (Illinois Automatic Computer) la prima composizione interamente generata da un computer risale al 1957, anno in cui dalla collaborazione fra il compositore Lejaren Hiller e il matematico Leonhard Isaacson scaturì la “Suite Illiac per Quartetto d'Archi”. Il primo articolo che parla esplicitamente di composizione algoritmica uscì pochi anni dopo, nel 1960, sul giornale russo Доклады Академии Наук СССР1 (Proceedings of the USSR Academy of Sciences) a firma del ricercatore informatico Rudolf Zaripov, che si concentra sulle capacità del computer Ural-1 di sintetizzare suoni in autonomia. Se questi possono essere considerati i prodromi di ciò che vediamo oggi, è altrettanto vero che essi si limitano a degli esperimenti isolati volti a principalmente a suscitare l'interesse dei lettori delle riviste specializzate più che ad abbracciare un vero e proprio discorso artistico. Per quello dovremo aspettare qualche altro anno, fino al 1983 per l'esattezza, quando David Cope, compositore americano di fama mondiale nonché appassionato di programmazione, cominciò a lavorare al suo EMI (Experiments in Musical Intelligence).
Lo stesso Cope parla della la sua creazione (in una definizione che calza a pennello anche per descrivere le moderne iterazioni della musica generata dalle IA) come di: «un programma di analisi che utilizza il suo output per comporre nuovi esempi di musica nello stile della musica presente nel suo database, senza replicare esattamente nessuno di quei brani2», un processo molto simile a quello di programmi moderni come Suno o Sundraw. Sebbene il suo operato si limiti alla reinterpretazione di brani dal repertorio di Bach, Beethoven, Chopin e altri autori classici, la sua introduzione portò ugualmente alcuni ricercatori a porsi delle domande riguardo l'entità della macchina e delle sue possibilità. Il professor Douglas Hofstadter dell'università dell'Oregon, esterrefatto dalla precisione con cui la macchina imitava le composizioni dei grandi del passato, commentò a riguardo:
«Mi trovo sconcertato e turbato dalla EMI. L'unica consolazione che potrei trarre a questo punto è la consapevolezza che la EMI non genera musica da sola. Dipende dall'imitazione dei compositori precedenti. Ma non è ancora una gran consolazione. In che misura la musica è composta da "riff", come dicono i jazzisti? Se è per lo più così, allora significherebbe che, con mio grandissimo dispiacere, devo accettare che la musica è molto meno di quanto avessi mai pensato che fosse»3.
Parole drammatiche, forse al limite del paranoico, che però mettono in risalto una crisi filosofica prima che industriale, un problema che invece dobbiamo porci oggi, dove questa pratica è diventata alla portata di tutti, sopratutto di chi detiene i diritti di riproduzione della musica sul web.
La paura che l’offerta musicale si possa “banalizzare” e adattare ad una formula preconfezionata, che l’eccessiva facilità di accesso a questi strumenti possa impigrire la fantasia degli artisti, o peggio escluderli del tutto eliminando dalla musica qualsiasi componente di natura umana o emotiva, si scontra tuttavia con un punto fondamentale, una consapevolezza che quantomeno ridimensiona qualsiasi scenario apocalittico: l’IA non è l’agente ideatore, ma un nuovo mezzo grazie al quale creare.
Come fa una IA ad essere creativa?
Quello che stiamo vivendo oggi non è né il primo né tantomeno sarà l’ultimo caso in cui nuove tecnologie causano un’isteria di massa nel pubblico, da una parte giustificata da notizie certamente allarmanti (come l’uso indiscriminato di contenuti protetti da copyright4), dall’altra ennesimo esempio di un giornalismo che cavalca l’indignazione senza fornire strumenti di analisi ai suoi lettori.
La nascita dell’industria discografica e dei primi grammofoni casalinghi fu salutata da molti intellettuali e artisti come un segno della fine della musica per come era conosciuta, ovvero momento sociale e di convivialità, e la sua natura statica, cioè registrata, era vista come un impedimento all’espressione più genuina della musica stessa, cioè l’improvvisazione e la eterogeneità di esecuzione. Non a caso le prime radio si dotarono ben presto di gruppi che suonassero dal vivo i successi discografici del momento, perché l’idea di ascoltare un disco era vissuta da molti come una frode. Eppure questa tecnologia portò la musica ad evolversi. Grazie al patrimonio sonoro collezionato nei primi decenni del ‘900 nuove generazioni di appassionati poterono scoprire suoni a loro lontani - è il caso della Anthology of American Folk Music del 1954, leggendaria raccolta di classici che ispirò il folk revival degli anni ’60.
Allo stesso modo l'IA sta piano piano sostituendo alcuni processi che per decenni abbiamo dato per scontato essere prerogative squisitamente umane, e che forse abbiamo sovrastimato in quanto tali5. Come nel caso di Hofstadter, ciò che ci spaventa di più non sono le immense possibilità offerte dal mezzo, ma la nostra incapacità di concepire la complessità dei suoi meccanismi, soprattutto dopo che esso ha fatto crollare le nostre certezze costruite su anni di esperienza umana.
Durante la ricerca per questo articolo mi sono imbattuto nel peculiare progetto Obscurest Vinyl. Nato come pagina Instagram e trasferitosi successivamente su Bandcamp e Spotify, OV si presenta come una raccolta delle «migliori canzoni che non hai mai ascoltato», brani generati dall'IA che imitano il tipico sound di fine anni '50, accompagnati però da testi dissacranti del calibro di “I Glued My Balls to My Butthole Again” o “It's Time To Take a Shit on the Company's Dime”. Sebbene si tratti di un progetto di novelty all'apparenza effimero e grottesco, ciò che mi affascina in maniera particolare è il suo sfruttare a proprio vantaggio uno dei “difetti” principali degli odierni software IA generativi, ossia la loro parziale incapacità di replicare del tutto i brani di riferimento, rivestendoli come di una patina straniante e peculiare. L’effetto che si genera sull’ascoltatore può assomigliare a una declinazione sonora del fenomeno dell’uncanny valley, sostanziando la cifra stilistica di Obscurest Vinyl tra una musica che riconosciamo come nostalgica e affine, e al tempo stesso una distorsione di essa, che ne sgretola la coerenza e apparente affinità.
Una cosa simile la sottolineava anche Brian Eno in un’intervista del 2016 a Fast Company; ad una domanda sulle motivazioni che l’avevano spinto ad utilizzare l’IA in alcuni suoi progetti, rispose:
«Una delle cose che possiamo fare è capitalizzare su ciò che i computer possiedono, ovvero la “deficienza artificiale”. I computer infatti commettono degli errori davvero stupidi, e questi errori si rivelano spesso molto interessanti. Una delle cose a cui gli artisti sono più attratti quando si parla di tecnologia, è il fatto che essa faccia spesso cose per la quale non era stata programmata in origine. L’estetica dominante della nostra epoca è catturata dalle carenze di queste tecnologie»6.
La rovina, il deperimento digitale, non è certamente un’estetica nuova. Daniel Lopatin e James Ferraro ci hanno lavorato pionieristicamente attraversando vari generi di musica elettronica (non ultimi il glitch e l’ambient), e buona parte di quella che fu la vaporwave era una ricalibrazione di tanti argomenti già toccati in questo articolo, solo ricombinati in un altro ordine. In un’intervista del 2023 su AnOther, Lopatin arrivò addirittura a sostenere che:
«La cosa più eccitante riguardo le IA è che tendono a comportarsi in maniera simile alla nostra, nel modo che hanno di travisare le idee con disinvoltura, di fraintendere la storia.»7.
Questi che sono a tutti gli effetti imperfezioni o mancanze della macchina, si rivelano molto spesso più affascinanti addirittura dei punti di forza; l’uomo è per indole portato a sperimentare sugli strumenti in suo possesso, e a forzarne molto spesso i limiti. Ricordiamoci che l’effetto della distorsione sulla chitarra elettrica nasce proprio a causa del sovraccarico al volume dei primissimi amplificatori, che restituivano un suono ricoperto da una patina che attirava l’attenzione dei giovani chitarristi proprio per il suo essere così vistosamente “sbagliata”, oppure all’acid house, nata a Chicago sfruttando una falla della tastiera Roland 303, che permetteva di lasciar camminare il sequencer in autonomia e, giocando con i potenziometri, di generare quel suono così pungente e caratteristico. È anche questo il motivo per cui molto spesso l’arte generata dall’IA ci sembra banale: essa è in fin dei conti uno strumento che in quanto tale esige la presenza di un essere umano creativo e pronto a sfruttarne a pieno i limiti. È l’essere umano che nota connessioni, ride o si commuove per le rime involontarie della macchina, ma è sempre l’essere umano che la programma in modo tale che certe rime abbiano più valore di altre.
Non è l’IA ad essere creativa, ma noi predisposti a creare connessioni.
Cause legali e implicazioni etiche
Suno e Udio sono due modelli di intelligenza artificiale generativa molto popolari tra i giovani, soprattutto su TikTok. L’idea alla base è molto semplice: tramite una serie di istruzioni testuali l’IA genera strumenti, voci, armonie, melodie e ritornelli cantabili, il tutto spesso con quelle connotazioni irrealistiche ma surreali di cui abbiamo accennato qualche rigo fa.
Verso la prima metà di agosto di quest’anno un singolo tedesco, “Verknallt in einen Talahon8” (Innamorata di un tamarro), ha scalato la classifica fino alla cima in tempi record, anche grazie al suo utilizzo in diversi meme su TikTok. Il creatore della canzone è conosciuto sul web come Butterbro, il quale attraverso poche linee di prompt e un testo molto ironico scritto di suo pugno, ha lasciato che Udio elaborasse i suoi desideri in musica. Il successo di questa canzone ha trainato un enorme dibattito in Germania, scaturito in una azione legale della RIAA (Recording Industry Association of America) contro Udio e Suno per aver addestrato le proprie IA utilizzando musica protetta da copyright.
La situazione ha creato uno stallo di fatto a livello giudiziario, Suno e Udio in loro difesa sostengono che queste cause legali sono tentativi mal celati di distruggere i concorrenti più piccoli lasciando indefessi i colossi di questo sistema in enorme crescita. Certo che questi “piccoli” competitor non se la passano poi tanto male, secondo un articolo del giornale indipendente britannico Byline Times, che racconta tutta questa faccenda non solo tedesca, la piccola e indifesa Suno nell’arco di due anni ha accumulato un valore stimato di 500 milioni di dollari. Anche se la causa dovesse svolgersi a favore della RIAA è difficile capire quanti ne beneficerebbero, oltre ai soliti artisti protetti dalle major e dalla loro posizione dominante sul mercato.
Certamente qualche effetto positivo a livello politico con l’entrata dei modelli generativi nell’industria musicale c’è stato. Primo fra tutti l’enorme potere di TikTok e dei social nel denunciare le pratiche irragionevoli e spesso predatorie di queste aziende ha messo all’angolo la politica occidentale, che ha cominciato a dover legiferare in merito con una reattività che non è tipica di questi Moloch (lo abbiamo visto proprio nell’epoca di Napster e della pirateria, ci vollero anni per regolamentare un settore che nel frattempo aveva cambiato in modo radicale la nostra fruizione musicale, tanto quanto l’avvento del grammofono e della radio). Nel Regno Unito, un rapporto dell'All-party Group on Music ha raccomandato l'adozione di una legge ambiziosa sull'IA e l'etichettatura dei contenuti generati da IA. Allo stesso modo, l'Unione Europea sta lavorando e ha già legiferato9 influenzando significativamente le aziende e le startup nel settore della musica.
Inoltre si è finalmente riaperta una discussione che era bloccata dagli anni ’80 sul copyright e i diritti di distribuzione e riproduzione musicale. Sebbene sia davvero difficile immaginare uno scenario in cui il copyright sparisca in favore di nuovi sistemi di riconoscimento economico e di utilizzo e distribuzione della propria musica, qualcosa si sta muovendo. Molti esperti e giornalisti per esempio spingono per lo sviluppo di nuovi modelli di licenza10 che richiedano alle aziende come Suno di ottenere i permessi dagli artisti stessi per utilizzare le loro opere nell’addestramento dei modelli generativi - previo compenso, ovviamente. Le major in tutto questo rappresentano una forza reazionaria e pericolosa, non al servizio degli artisti, avendo a cuore solamente i nomi di punta dei loro cataloghi, oltre al fatto non ininfluente di portare in tribunale ragazzini che fanno un po’ di mash-up su TikTok con cause milionarie11.
In fondo la situazione è ormai irreparabile, così come fu per Napster ed eMule e tutti i vari epigoni che seguirono, così come fu con il CD, la radio, gli almanacchi, i rulli traforati per autopiano, la forza dinamica di una nuova tecnologia una volta a disposizione di tutti non è più arginabile.
Un'indagine condotta da TuneCore ha rivelato che il 27% degli artisti indipendenti ha già utilizzato strumenti musicali basati su IA. Di questi, il 57% ha impiegato l'IA per generare opere d'arte, mentre il 37% l'ha utilizzata per creare materiali promozionali. Complessivamente, il 35% degli artisti ha espresso interesse nell'integrare l'IA nel proprio processo creativo, specialmente per scopi di marketing e promozione12. Come ci ricorda la sempiterna citazione di William Gibson: il futuro è già qui, è solo mal distribuito.
E gli umani?
Che le IA saranno parte di un grande cambiamento estetico è già realtà. Mentre state leggendo queste ultime righe le prime comunità web legate da una precisa visione artistica stanno emergendo (come nel caso “I Have Been a Good Bling” di The Fooming Shoggoths, progetto concepito dal subreddit LessWrong, i cui testi sono adattati direttamente da post pubblicati dalla community), ma siamo ancora ben lungi dal vedere delle vere e proprie scene musicali come furono la chillwave e la vaporwave negli anni ‘10. Il dilemma però su chi stia creando cosa certamente polarizzerà ancora il dibattito pubblico per gli anni a venire, sebbene sia tecnicamente la domanda sbagliata da porsi. Ciò a cui le IA ci stanno mettendo di fronte, almeno adesso con le tecnologie messe a nostra disposizione, è più un dilemma etico che un dilemma artistico.
«È vera musica se può farla chiunque?»
Se lo chiedevano già Sting e Paul McCartney in uno speciale di MTV del 1989 in riferimento al rap e all’uso dei campionamenti. La questione invece nodale del copyright, della sua funzione di salvaguardia del lavoro creativo, mette in luce un sistema che non ha mai funzionato per il 99% degli artisti, ma è stato necessario alla raccolta di capitali enormi dai grandi successi delle major. È arrivato il momento di ripensare il modo con cui riconosciamo economicamente gli artisti e il loro ruolo nel miglioramento della società. In questo contemporaneo dove il deepfake di un personaggio pubblico può sconvolgere il concetto di libertà di parola per come eravamo abituati a intenderlo13, realtà e finzione sono diventati mezzi di comunicazione più potenti che mai, chi se non gli artisti possono insegnarci come riconoscere l’uno dall'altro?
Articolo a cura di Lorenzo Antuori con la collaborazione della redazione.
Grazie a tutti i lettori per il sostegno e il passaparola, vi ricordiamo che martedì 2 ottobre alle 16:00 in diretta su Fango Radio andremo in onda con PRESS PLAY, un programma radiofonico a cura di Luca Firpo in cui ci sentirete chiacchierare (e ascoltare) di musica per videogiochi. Tutte le puntate saranno recuperabili sul sito di Fango Radio.
Ovvero “Gli atti dell’Accademia delle Scienze dell’URSS”, storica rivista che pubblicava le più recenti ricerche scientifiche nel territorio sovietico.
Ibid.
Per esempio articoli giornalistici vengono oggi scritti da algoritmi di IA, come quelli usati da Associated Press o The Washington Post per la cronaca sportiva o finanziaria, da una parte certamente togliendo lavoro, dall’altra però lasciando aperte le porte per un giornalismo che si concentri di più sull’interpretazione degli eventi complessi e non la loro semplice archiviazione meccanica.
Talahon è uno slang tedesco che tende a indicare con tono denigratorio i ragazzini in fissa con l’hip hop commerciale, rivestiti di tutto punto con giubbotti e scarpe di marca e con atteggiamenti da bulletti.