Le radici dell'Orto Sonoro
Scovare, produrre, distribuire: Daniele D’Andrea ci parla di Santa Valvola
Penultimo incontro con i partecipanti del secondo laboratorio di giornalismo musicale gratuito di Ubu Dance Party. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Daniele D’Andrea e gli abbiamo chiesto di raccontarci la vita quotidiana di un’etichetta, dallo scouting alla produzione, passando per le collaborazioni e il rapporto con i gestori dei locali.
Farsi le ossa è uno dei momenti capitali dell’avvicinamento dal giornalismo, capire come funzionano davvero le cose, andare oltre il semplice ascoltare-scrivere ma vivere il sistema economico culturale, partendo dal basso, dalla dimensione locale. Fare domande, le più banali, per scoprire che banali non lo erano affatto.
Buona lettura,
Giuseppe Di Lorenzo
Santa Valvola Records è un’etichetta indipendente nata a Prato nel 2010, fondata da Daniele D’Andrea, Robert Bardi ed Emanuele Ravalli. Il progetto nasce dalla ricerca fallimentare dei Nausea, band dove militavano i tre fondatori dell’etichetta, di un’agenzia di booking, decidendo così di crearne una propria. Strutturati in un collettivo e fedeli al principio del DIY, sono anche gli organizzatori del Santa Valvola Fest, manifestazione musicale che si tiene presso l’Orto Sonoro di Prato. Il legame col territorio e l’attenzione alla scena indipendente rendono Santa Valvola un punto di riferimento culturale in una città innervata da commistioni culturali di ogni genere.
Dando un’occhiata ai progetti prodotti da Santa Valvola, non è difficile notare che molti artisti vengono dalla vostra stessa città, Prato. Come etichetta che valorizza gli emergenti, sentite di aver avuto un ruolo importante nel formare un circolo virtuoso e una vera e propria scena pratese?
Assolutamente sì: non ci sentiamo protagonisti, ma di sicuro partecipi di quello che succede a Prato. Abbiamo la nostra sala prove per tutti i gruppi che gravitano intorno a Santa Valvola, la Santa Sede, e siamo ben lieti di accoglierne di nuovi o assistere alla nascita di un side project dalle ceneri di un gruppo sciolto. L’aspetto più stimolante della sala prove è avere un luogo di scambio, un luogo fisico che permette di coltivare un gruppo attraverso nuove uscite, di continuare a suonare (perché non è banale superare i quarant'anni ed averne ancora uno) ma anche creare nuove situazioni, nuovi stimoli e quindi nuove proposte musicali per la città.
Dove si trova la Santa Sede?
La sala prove è nella zona di Coiano, Prato nord. Fino a qualche anno fa c'erano i Golden Drake, un club di motociclisti della zona che stavano sopra di noi. Così le nostre band provavano giù per poi fare i concerti su. Oggi il club è chiuso ma esistono altre situazioni, anche se minori in numero rispetto agli anni scorsi, che tengono vivo il circuito di eventi musicali. Spesso per creare la situazione basta la voglia e poi arrivano i risultati, soprattutto quando le cose avvengono con una certa attitudine, che non è nel vestirsi in un certo modo, ma che è fare le cose con lo spirito giusto, della condivisione, dell'apertura e della passione per la musica. In questi casi la partecipazione delle persone avviene con facilità perché percepiscono di essere accolte, e questo ci dà conforto e la voglia di continuare.
Qualche giorno fa, in seguito alla pubblicazione delle statistiche di Spotify sugli ascolti annuali, Andrea Scanzi si è lanciato in una filippica in cui ha avuto la bella idea di criticare i gusti degli ascoltatori italiani. Gli ha fatto eco Enrico Silvestrin scrivendo che la colpa non è tanto degli ascoltatori quanto della musica prodotta in Italia. Vorrei rivolgerti la stessa domanda: come sta il rock italiano? C'è nuovo fermento o è una minestra che stiamo continuando a riscaldare da ormai troppo tempo?
Il primo lampante dato che mi appare è l’età media piuttosto alta fra le band che si propongono a Santa Valvola. Noi stessi, che lavoriamo in sala prove o organizziamo concerti, abbiamo tutti sui 35/40 anni. La Santa Sede è frequentata anche da alcuni ragazzi più giovani ma non vedo mai un diciannovenne e questo, secondo me, è preoccupante. Purtroppo i frequentatori più giovani sono quelli che non scrivono musica ma si limitano a fare jam o a studiare lo strumento. Quando passo a trovarli chiedo se hanno dei brani originali così da proporre il gruppo per la prossima edizione del festival, cerco di stimolarli ma non ricevo lo stesso entusiasmo e così ho l’impressione che non ci sia un grande fermento creativo. Quindi la mia risposta è: qualche problemino il rock italiano ce l’ha, ma voglio sperare che si tratti di un ciclo con un fondo da toccare per poi risalire.
Per quanto riguarda gli ascolti sulle piattaforme va detto che le produzioni che finiscono nel gran calderone di Spotify sono per assurdo sempre più numerose, non solo tra gli artisti “da classifica” che godono di un sistema di sponsorizzazione e di compravendita dei click (finendo per falsarla, la classifica) ma anche nella musica italiana più underground. Con le uscite che si sovrappongono in continuazione e tenendo conto della ristretta fetta di ascoltatori di questo genere, i numeri di ogni gruppo saranno sempre più bassi. Ma quello che mi preoccupa di più, come dicevo prima, è la mancanza di artisti giovani che si impegnino davvero nel coltivare la loro idea di musica, così da portarla ad un festival, farsi un nome ed essere cercati su Spotify. Secondo me questo è il circolo virtuoso di cui abbiamo bisogno.
Come funzionano i rapporti con altre etichette indipendenti? Nel vostro sito web si notano vere e proprie collaborazioni nel promuovere e produrre nuovi artisti, o magari una divisione dei compiti. Ad esempio La Morte Gora, nell'ultimo lavoro da voi pubblicato, ringrazia tutte le etichette per aver dato il supporto fisico all'album; oppure, tornando indietro negli anni, ci si imbatte in una collaborazione con Alessandro Fiori su “Peacock Eyes” dei Solki.
In realtà è molto più naturale di quel che sembri, nel senso che non c'è un libretto delle istruzioni. Può capitare che sia il gruppo a mettere insieme diverse etichette secondo i vari punti di forza: magari una è più ferrata sulla produzione perché ha contatti con delle fabbriche mentre un’altra lo è sulla promozione perché è più preparata nell'organizzare concerti, come ad esempio siamo noi. Io dico sempre che mi piace tantissimo produrre dischi, ma siamo più bravi a pianificare eventi.
Altre situazioni sono quelle in cui due etichette si conoscono come è successo nei due dischi dei Topsy the Great, per cui abbiamo unito le forze con l’altra etichetta [FromScatch records, nrd]. In altri casi ancora, e avviene spesso con band punk o hardcore, il gruppo decide di far produrre il disco a tante etichette in modo che le copie prodotte vengano in automatico distribuite senza aver bisogno di altri canali. Questo automatismo è fondamentale per tenere bassi i costi di produzione, anche se non è poi così semplice vendere le copie prodotte: si vendono soprattutto ai concerti e al giorno d'oggi non sono proprio tantissimi, o meglio, non sono molti i locali dove poter suonare. Spesso ci vogliono anni per riprendere i soldi di un disco: l'oggetto che si riesce a vendere un po’ meglio è il vinile mentre il CD, per quanto io abbia una discreta passione per il supporto, è praticamente morto. Non è semplice: fare il passo più lungo della gamba vuol dire spesso smettere di produrre dischi.
Tornando a quella flebile speranza per il futuro, come avviene il contatto con i nuovi artisti? Ascoltate tanti concerti, partecipate a tanti festival e lì trovate qualcosa che vi incuriosisce, o magari ricevete tantissimi demotape via email? E cos’è che vi colpisce positivamente e cosa invece vi fa dire “No, questo proprio no”.
Per fortuna ci arrivano mail e proposte in continuazione ma sono spesso impersonali, probabilmente perché inviate a tante case discografiche diverse, attraverso il più classico dei copia e incolla. Mi ricordo di un tipo che ci inviò alcuni brani che erano troppo lontani dalle cose che facciamo di solito, però non erano male. Gli risposi che non eravamo interessati e appena qualche minuto dopo mi scrisse, lamentandosi del fatto che tutte le etichette gli stessero rispondendo la stessa cosa. Fu una cosa simpatica, devo ammetterlo, perché nessuno ti risponde più dopo un parere negativo, però ti viene anche da pensare: diamine, era già così pronto a ricevere il “no”?.
In ogni caso ascoltiamo tutto il materiale che riceviamo e ci impegniamo il più possibile per rispondere a tutti, anche se vedere gli artisti esibirsi dal vivo è un passo comunque fondamentale. Una cosa che invece proprio mi allontana da un progetto artistico è la voglia di spararsi le pose, ci arrivano certi video in cui l’immagine conta molto più del contenuto, e permettermi di dire: concentratevi di più sulla musica, vi prego!
Ci sono dei dischi che avete prodotto di cui andate particolarmente fieri? E se ci sono, sentite di aver contribuito in modo significativo alla sua riuscita, oppure l’avete trovato così, già bello e pronto per voi con soltanto “la fatica” di pubblicarlo.
Ce ne sono tanti. Può sembrare una frase fatta ma tutti i dischi che produci li senti un po’ come fossero tuoi figli. Metto da parte le coproduzioni fatte in dieci etichette perché magari di quelle mi sento lo zio, ma nei casi interamente nostri c'è un attaccamento particolare. Ho nominato prima i Topsy the Great, erano un gruppo che abbiamo prodotto fin dall'inizio e nonostante dopo due album si siano sciolti, tutti i membri sono ancora parte attiva di Santa Valvola, fondado altri gruppi. Ci sono molto legato perché quella fu una band che fece tantissimi concerti: nei tre anni in cui hanno suonato fecero sessanta date l'anno in giro per l'Europa, che non sono proprio scontate per un per un gruppo del genere.
Come album sceglierei quindi il primo dei Topsy perché è stato uno dei primi, il terzo per la precisione, che abbiamo pubblicato, e anche uno dei pochi che si è ripagato da solo in tempi relativamente brevi. Quando uno guadagna i primi dieci euro da un disco si stappa lo spumante! Come gruppo invece direi gli Stoner Kebab, perché sono stati quasi il simbolo di Santa Valvola, quelli che ci hanno fatto conoscere negli Stati Uniti. Ricordo che spedimmo tantissimi dischi negli USA, che per me vuol dire più o meno una quarantina, ma anche tanti altri in Nord Europa, in Germania, in Svizzera, in Austria, e per un'etichetta come noi questo fu un sogno che si avverava.
Da chi è composto il gruppo più attivo di Santa Valvola e quante persone si muovono intorno a questa realtà come satelliti?
Devo fare un po' un distinguo, perché Santa Valvola ha varie attività. Io rappresento Santa Valvola Records, ovvero l'etichetta discografica, perché ho deciso di essere l’unico ad investirci dei soldi, consapevole di quello che posso permettermi di fare e di spendere. Ma non deve essere necessariamente un discorso monetario: quando ho fondato Santa Valvola volevo che fosse per me un luogo dove misurare il mio ascendente da talent scout.
Avevo voglia di mettere sul piatto la mia capacità di scegliere i gruppi, e mediare con un'altra persona avrebbe voluto dire non seguire il mio gusto.
Detto questo per la produzione dei dischi ovviamente ci sono altre figure: il grafico di Santa Valvola, una persona che gestisce i social o le uscite discografiche. In questa cerchia di cinque sei persone ognuna ha il suo compito.
Il Santa Valvola Festival invece, che non è un’associazione ma un collettivo, racchiude tantissimi volontari. Molti sono musicisti o ex musicisti che si approcciano all'etichetta con la propria band e poi ci rimangono attaccati per quello che fa. Non essendo un’associazione i volontari sono più coinvolti in base alle loro disponibilità e alle richieste del festival. Per organizzare tutti gli altri concerti che avvengono durante l’anno invece siamo una cerchia ristretta di cinque o sei persone.
Hai detto che uno dei grandi problemi, diffuso in tutta Italia, è trovare locali dove poter suonare. La nostra idea è che questo problema sia dovuto da un lato alla burocrazia e ai costi e dall’altro da un’incomprensione di cosa sia una scena musicale e di come si possa supportare. Partendo dal microcosmo pratese qual è la tua opinione in merito?
Secondo me il problema più grande non riguarda tanto i costi e i permessi perché sono gli stessi sia che tu faccia suonare una cover band, un gruppo emergente o gli Stoner Kebab, al di là del fatto che hanno gli amplificatori grossi e quindi necessitano di un posto adatto.
Il problema più grande dei gestori dei locali, o di chi organizza concerti, è la miopia e la mancanza di coraggio.
Il Santa Valvola Festival ha chiamato pochissime volte un gruppo perché avrebbe portato persone al festival. Anche quando hanno suonato gli Zu il concerto è avvenuto perché uno dei nostri gruppi preferiti suonava con la formazione originale dopo non so quanti anni. Per funzionare un locale, almeno all’inizio, deve scegliere nuove proposte che stupiscano chiunque venga. Non serve fare il pienone subito, bisogna avere il coraggio di consolidare le proprie scelte anche se i primi concerti non vanno benissimo.
A Prato, quando l'Orto Sonoro [location del SVF, ndr] è chiuso nel periodo invernale, facciamo un concerto al mese appoggiandoci a Ozne, un piccolissimo pub nel centro storico. Suggeriamo al gestore validi gruppi, soprattutto esteri, che ci vengono proposti dalle agenzie discografiche e, dopo aver informato il gruppo delle dimensioni del locale, della strumentazione e delle disponibilità economiche (più che dignitose per le economie dei locali del giorno d'oggi), spesso il concerto avviene. Il gestore da molta attenzione ak numero di ascolti, dei follower e delle date, ma si fida e prova a vedere come va. Ora che siamo al terzo anno di questi concerti la gente sta fuori dal locale, anche sotto la pioggia, per vedere gruppi che non conosce. È questa la cosa bella: non si sta parlando di un amarcord, della quindicesima volta che vai a vedere Giorgio Canali, ma di una novità.
Quale credete sia il ruolo di un Festival nell’economia musicale di oggi? È ancora il luogo adatto per far emergere le novità?
Assolutamente sì. Il festival è la vetrina dell'etichetta, questo è ovvio. Quando esce un nuovo disco il gruppo suona al festival, anche se in dieci anni nessuno ha mai suonato due volte, tranne gli Hate & Merda. Ci piacciono come persone e ci piace la loro attitudine, ma soprattutto ci tenevano molto per il decennale del gruppo così hanno suonato da noi durante una tournée molto impegnativa. È stata l'eccezione che conferma la regola.
Cosa bolle in pentola per la prossima edizione del Santa Valvola Festival che festeggia i suoi primi dieci anni?
C'è chi ha detto: «Per il decennale si fa una settimana!». Ho qualche dubbio ma proveremo sicuramente a fare qualcosa di più celebrativo per festeggiare degnamente i dieci anni. Abbiamo il nostro taccuino con tutti i gruppi che ci colpiscono, vedremo cosa verrà fuori.
Grazie come sempre per supportarci e volerci bene, non è semplice impegnarsi in progetti laboratoriali che si dilatano in sei settimane, tante interviste, tanti ascolti, tanto da scrivere. Il vostro sostegno da chi si affaccia al mondo del giornalismo musicale è la prova che permane un desiderio di qualità, nella scrittura, nell’analisi, negli approfondimenti.
Vi ricordo che martedì uscirà l’ultimo QUATTROXQUATTRO del laboratorio e ritorneremo a uscire mensilmente. Grazie ancora.