Contemporaneo a ogni costo
Come una sfida senza senso diventa un articolo sull'hype, la noia e la scoperta di musica nuova
Per chi come me ascolta da sempre prevalentemente musica di trenta, quarant’anni fa, il contemporaneo sembra un mondo difficile da raggiungere, con leggi e dinamiche nuove e imprevedibili. Come scopro artisti che potrebbero piacermi? Dove trovo il tempo di seguire le uscite nuove? Come faccio senza le t-shirt abbinate tipo Joy Division? Ma soprattutto, da dove parto? Il grosso dei miei ascolti si fermava a inizio anni 2000 (salvo l’hip hop italiano che bene o male continuavo a seguire dal liceo ) e questo gap di una ventina d’anni mi privava di qualsivoglia punto di riferimento nel contemporaneo. Così, non trovando la serratura, ho deciso di sfondare il portone con un’ariete, imbarcandomi in una sfida (per quanto ne so) senza precedenti: ascoltare solo musica uscita da gennaio 2024 in poi. In questo anno di ricerca, entusiasmo e disperazione, ho trovato tante risposte e come al solito nuove domande.
Buona lettura,
Claudio Di Biase.
“Ascolti poca musica contemporanea”. Me l’hanno detto tante volte, con un velo sottile ma palese di disprezzo. A volte meno sottile, a volte meno palese. Me l’hanno detto così tante volte che ho iniziato a dirmelo pure io. Chiedendomi sempre, sotto sotto, cosa sia realmente la musica contemporanea. Cosa deve succedere affinché una canzone assolva il suo ruolo nella scacchiera del contemporaneo e diventi una cosa del passato? E perché per tutti è così naturale ascoltare le ultime uscite mentre io sono apparentemente bloccato indietro nel tempo? Questi dubbi non facevano altro che amplificare la netta sensazione di starmi perdendo qualcosa. Eppure quando in passato avevo provato ad avvicinarmi alla musica del mio tempo non avevo affatto trovato pane per i miei denti. Qualche artista, qualche album, qualche brano, ma sempre tutto scollegato e lontano. Non avevo un sistema di coordinate.
D’altronde se ripenso alla fatica che ho fatto in vent’anni per crearmi i miei punti di riferimento nella musica del passato, ho il terrore di doverne fare anche il doppio con quella contemporanea, che non arriva certo già narrata e confezionata. Così a metà dicembre 2023 presi una decisione radicale: dal primo gennaio al trentuno dicembre avrei ascoltato solo musica uscita in quei dodici mesi. Una terapia d’urto che, secondo il mio piano, mi avrebbe strappato dal comfort dei miei cari vecchi (molto vecchi) album preferiti proiettandomi nel qui ed ora e senza possibilità di ritorno. Avrei capito naturalmente come ambientarmi, e in assenza di alternative avrei finito per ascoltare dozzine e dozzine di dischi nuovi, scoperto scene e etichette pazzesche, scavato nei meandri dell’internet alla ricerca di giovani talenti o grandi artisti a me sconosciuti. Il tutto con l’obiettivo finale di non tornare mai indietro. Dopo un anno avrei potuto liberamente riascoltare la musica vecchia che volevo, ma nella mia ingenua immaginazione questa challenge mi avrebbe assicurato definitivamente un posto in prima fila nel contemporaneo, che non avrei ceduto al suo termine, continuando di lì in poi ad ascoltare soprattutto musica nuova.
Insomma un piano a prova di bomba, solo sfortunatamente non a prova di noia. Ma basta con gli spoiler. Le regole della sfida sono poche ed essenziali:
1. Quando sei da solo puoi ascoltare solo musica del 2024.
2. Quando sei in compagnia puoi ascoltare qualsiasi cosa.
3. Quando non puoi evitarlo puoi ascoltare qualsiasi cosa.
4. Le remaster di dischi vecchi e gli album live non valgono.
Ok la seconda ha tutta l’aria di essere un cheatcode molto pesante ma, a ben pensarci, non avrei mai potuto farne a meno (non posso costringere chi mi sta attorno a soffrire con me). Proprio rivedendo un’ultima volta il contratto prima di firmarlo, a poche ore dalla fine del 2023, ascoltavo “Yerself is steam” come se fosse l’ultimo giorno della mia vita. Cenone, poi conto alla rovescia, infine fuochi d’artificio e spumante. La sfida è iniziata col botto.
Musica contemporanea dicevamo. Quanto contemporanea? “Tanto” avrei risposto la mattina del primo gennaio 2024, completamente stupefatto dalla scoperta delle dozzine di album rilasciati a mezzanotte. Cosa ci facevano lì tutti quegli artisti, a pubblicare musica (per la maggior parte pessima) invece che festeggiare l’inizio dell’anno nuovo facendo baldoria? Forse anche loro, come me, erano falene attratte dal bagliore dell’adesso. Scorrere la sezione “new arrivals” di Bandcamp ad inizio anno è come trovarsi al cospetto della sorgente originaria di tutta la musica. Un’onda sinusoidale pura che poi ognuno filtra un po’ a suo piacimento sintetizzandola in questa lista o quella recensione. Ecco dopo averne sentito tanto parlare, stavo finalmente fissando negli occhi la bestia.
Questa immagine riassume bene la Fase 1 della sfida, che secondo le mie previsioni sarebbe dovuta essere la più difficile, ma ha finito per rivelarsi la più divertente. Complice forse l’entusiasmo iniziale, io nel fare binge listening di musica completamente casuale ci ho preso gusto. Il tutto rigorosamente su Bandcamp, dato che Spotify e YouTube quella meravigliosa spunta “new arrivals” non ce l’hanno mica. Già nei primi mesi del 2024 ebbi una realizzazione che mi sconcertò. Ovvero che, rimosso un qualsivoglia processo di selezione o filtro, la musica contemporanea non sembra quasi esistere. Cioè, è chiaro che la musica c’era, ed era certamente contemporanea perché uscita da pochi giorni. Ma le varie uscite apparivano, anche in uno stesso genere, distanti e totalmente disgiunte.
Non so di preciso cosa io mi aspettassi. Forse di trovare un “suono del rock/hip hop 2024” analogamente a come esistono un “suono del rock ‘79” ed un “suono dell’hip hop ‘94”. Quanto meno di non trovare un ammasso di monadi separate. Le prime spiegazioni che mi diedi (ovvero quelle sbagliate) hanno tutte comunque un fondo di verità. Perché sì, siamo nell’epoca in cui si produce più musica che mai, ma anche in cui gli artisti sono spesso più separati che mai. E se da un lato l’avanzare della tecnologia ha permesso a tutti di comunicare e produrre musica insieme, a distanza, ha anche permesso a moltissimi musicisti indipendenti di ottenere attrezzature un tempo inaccessibili e di lavorare comodamente dalla cameretta. C’è quindi una massa (elevatissima) di musicisti che viaggiano su un binario tutto loro, sottratti quasi totalmente dal circuito di etichette grandi o piccole, sale di registrazione, locali o altri luoghi di aggregazione, e che pubblicano un po’ quello che gli pare. Questi sarebbero sulla carta gli artisti più difficili da inserire nella scena contemporanea.
Eppure tutta questa argomentazione apparentemente corretta sul piano logico, crolla dinanzi all’esperienza. Perché in qualche modo questi sono gli unici artisti che alle mie orecchie condividevano un contesto, un “suono” in senso lato, un immaginario. Forse sono proprio tutti gli altri a non entrare nell’inquadratura. Mi rassicurai dicendomi che col passare dei mesi avrei imparato come collegare i puntini, ma avevo già allora un brutto presentimento.
RateYourMusic è entrato in gioco gradualmente. Dopo aver visitato la classifica degli album dell’anno di RYM quasi ogni giorno per un anno, posso finalmente dire di aver capito l’algoritmo. La suddetta classifica premia volentieri i dischi molto visitati e votati (non necessariamente benissimo) nel primo momento. Ma se le visite e i voti al disco non tengono botta sa mollarti anche dopo una settimana come se nulla fosse. Proprio per questo motivo la visitavo spesso. Era possibile trovare una perla in prima posizione, ma non rivederla neanche tra le prime 100 il giorno dopo. Il mezzo si presenta quindi democratico ma molto caotico. L’importante è che fosse appena meno caotico dei nuovi arrivi di Bandcamp. Tant’è che la Fase 2 è stata caratterizzata proprio da questo, ed è durata circa 6 mesi.
La fatica e la noia dovute al binge listening randomico iniziavano a farsi sentire.
Soprattutto perché mi ero reso conto di dover arrivare ad ascoltare una quindicina di dischi prima di trovarne uno vagamente bello. E sì, nella prima fase avevo trovato lavori anche belli in maniera tutt’altro che vaga, come “Texas Anime” di somebodyparts, “Acelero” dei Crizin da Z.O. e “Down There” dei Folly Group. Ma non bastarono a tenere vivo l’entusiasmo e mi convinsi quindi a cambiare approccio. Dissi arrivederci alla sorgente candida e pura, promettendo di tornare appena un mese dopo. Poi due. Poi sei. Mi sarei tenuto sempre stretto Bandcamp per le ottime liste ufficiali offerte dal sito settimanalmente. Viceversa sarei tornato nei nuovi arrivi solo di rado, per motivi che saranno chiari dopo. Avrei invece fatto di RateYourMusic la mia casa. Iniziavano a spuntare le liste della community, la classifica si gonfiava e nel seguire l’andamento degli album mi sentivo quasi un trader.
Di pari passo, spinto anche dal laboratorio di giornalismo musicale gratuito di Ubu Dance Party (da cui è nata questa newsletter), avevo iniziato a leggere molta più stampa di settore. I blog e i siti che un tempo trafficavo unicamente per le recensioni dei classici si erano convertiti in una vetrina per la musica nuova. E chi sapeva vendermi meglio un disco si aggiudicava il mio ascolto. Perciò alla domanda che ci eravamo posti durante il laboratorio “a che cosa serve la critica musicale?” mi risposero i fatti. I critici, i blog, le listone, le classifiche altro non erano che un filtro. Non ti dicono cosa deve piacerti e cosa non, ma ti aiutano a non perdere tempo su cose terribili e ti danno un criterio di scelta diverso dalla sola copertina. O meglio, non volendo essere riduttivi, questo è ciò per cui ne ho usufruito io.
Devo dire che, tra RYM e le riviste varie, la qualità media dei miei ascolti si era certamente alzata. Qualsiasi criterio è meglio di nessun criterio.
Avevo sentito qualcuno dire che la critica non serve più dato che la musica non si paga più al disco. Come se il prezzo principale della musica non fosse il tempo. Non solo il tempo di ascolto del disco in sé, ma il tempo che ci vuole per arrivarci.
Ci sono così tante uscite ogni giorno da renderne alcune semplicemente irraggiungibili se non per caso. E limitandomi unicamente a mettere sottosopra Bandcamp avrei rischiato di perdermi album incredibili come “Hotel la Rut” di Joanna Wang, “Dos Atomos” dei Dos Monos e “Second Communication” dei PSP Social. Ma non è tutto qui. Perché forse iniziavo a intravedere anche un legame tra le varie uscite. Tra le righe leggevo delle intersezioni e mi sembrava quasi di sentire un “sound” comune. Cos’era cambiato? La musica era la stessa, giusto? La risposta è da qualche parte nell’unico posto in cui non stavo affatto guardando: nel passato.
Perché quando pensiamo alla musica vecchia sembra sempre tutto così legato e lineare? E addirittura quando zoomiamo su una specifica epoca ci sembra di riconoscerne un generale “suono”? Mi ci è voluto un anno, ma ho finalmente capito che il fulcro della faccenda è il concetto di narrazione. Chi narra la storia della musica? Le etichette, le radio, i film, i libri di storia, ma anche siti come RYM, articoli come questo e sì, anche vostro cugino che vi consiglia l’ultima canzone di Shiva. In un certo senso è un libro che contribuiamo tutti a scrivere. In un altro senso si tratta di un’infinità di libri diversi, tra i quali ognuno di noi attinge. Immaginatelo come volete, ma questa o quella narrazione sono il collante che tiene unita la musica di una certa epoca. Che altrimenti, a guardare al microscopio, risulta slegata e confusa quanto i microrganismi in una goccia d’acqua di mare. D’un tratto ci accorgiamo che i Doors e i Silver Apples c’entrano qualcosa tra loro solo se abbiamo in mente una qualche narrazione che li unisce. Ma ad ascoltarli sembrano appartenere a mondi diversi.
Eppure continuiamo a raccontarci che certi dischi siano “figli del loro tempo”. Come se il 1967 in persona si fosse schiarito la voce ed avesse parlato all’orecchio a Jim Morrison suggerendogli il testo di The End. Quando è invece evidente che i tracciati percorsi dai vari artisti sono peculiari e imprevedibili, e noi guardiamo indietro collegandoli con un filo rosso e raccontando una storia che sia il più lineare e logica possibile. Anche dividere gli album per generi è di per sé una forma di narrazione. Mettiamo nello stesso scatolone opere potenzialmente distanti sotto ogni punto di vista possibile, ma finiamo per raccontarci che siano due tasselli di uno stesso grande domino. Ci riesce quindi ancora più facile legare tra loro i dischi di una stessa epoca in un unico grande racconto. Uno sceneggiato in cui compaiono in veste di protagoniste le caratteristiche della società, della politica e della cultura. Salvo poi rendersi conto che ci siamo persi per la strada la maggior parte della musica uscita nel passato. Tutto ciò che non rientrava in quel racconto perfetto resta sepolto. Alcune volte è un flop, altre volte è il disco più ascoltato al mondo in quegli anni. La maggior parte dei dischi trova il modo di sgattaiolare fuori dal passato, un po’ come i dischi di oggi, se tutto va bene, trovano la via della salvezza in questa narrazione o nell’altra, svincolandosi dal contemporaneo.
Vista in questa prospettiva, la storia della musica segue un processo quasi evoluzionistico.
E soprattutto, l’esistenza delle scene musicali e su tutte della famosa musica contemporanea equivalgono all’esistenza di una qualsiasi altra arbitraria narrazione degli eventi. Privilegiata, si fa per dire, perché motivata da un criterio cronologico. Ma non meno privilegiata quindi della “scena degli album con la copertina rossa” o della “scena degli artisti che iniziano per R”. Questo perché la musica è certamente ispirata dalla società e dai costumi, ma non è una loro matematica conseguenza. Ecco quindi che con l’ausilio della critica contemporanea e di RateYourMusic qualcuno tornava a raccontarmi i fatti. E vedevo legami che, ripensandoci, non erano lì. Ma com’è finita la challenge?
La terza ed ultima fase è stata senza dubbio la peggiore.
Per quasi due terzi dell’anno avevo cercato il mio posto nel contemporaneo, ma il grosso di quello che ho trovato è stata mediocrità. E no, non sono dell’idea che oggi non possano uscire capolavori o che la qualità della musica si sia abbassata nel tempo. Il passato è talmente ben raccontato che ci dà l’illusione che fosse pieno solo di dischi incredibili. La triste verità è che la maggior parte della musica mai uscita è nella media, per definizione stessa di “media”! Dunque non è che un’ovvietà per me constatare che la maggior parte della musica del 2024 sia stata mediocre, ed avrei pensato lo stesso del 1974 se avessi fatto la stessa sfida allora. Negli ultimi mesi ho finito per affezionarmi facilmente a pochi album e tenermeli stretti. Su tutti “Eels” dei Being Dead, “I lay down my life for you” di JPEGMAFIA e “A| Tetralogìa de Bichos y Setas” dei Phuyu y la Fantasma.
Il tempo ha iniziato a scorrere lento proporzionalmente alla ripetitività dei miei ascolti. Alcune uscite un anno prima le avrei dimenticate in tempo zero, eppure l’anno scorso le ho ascoltate anche 50 volte. Ma se all’inizio era colpa della necessità, col passare del tempo alla mediocrità ho iniziato ad affezionarmici davvero. Sono tornato a stupirmi dei piccoli dettagli brillanti in brani altrimenti anonimi. Ho riscoperto quel contrasto magico che si crea tra la passione che può avere un artista e la sua quasi totale mancanza di talento, ed è meraviglioso. Uno spettacolo a metà tra la recita di fine anno delle elementari e il concerto della band dopo-lavoro di tuo zio che si esibisce gratis nel suo pub di fiducia.
Sono contento che alcuni tra noi ascoltatori (anche voi che, se state leggendo questa webzine, rientrate di diritto nella categoria) siano esigenti e abbiano grandi aspettative dalla musica. E lo confesso, dopo questa challenge i miei dischi e artisti preferiti non sono cambiati poi tanto. Ma è stato guardando negli occhi la mediocrità, e poi riguardandola e sviscerando i dischi che non mi convincevano del tutto alla ricerca di qualcosa di bello, che ho riscoperto ciò che amo nella musica. Tutto questo, ahimé, mi è costato la challenge.
Perché tirando le somme, nei primi 4 mesi penso di aver ascoltato più del doppio degli album che ho ascoltato il resto dell’anno. Ho gradualmente rallentato il ritmo dei nuovi ascolti al punto da tenere in rotazione gli stessi tre dischi anche per settimane. La mediocrità solita era meglio della mediocrità nuova. Quell’entusiasmo e quella speranza di trovare un capolavoro in mezzo al fango erano svaniti. Per di più col passare del tempo ho smesso di visitare RYM, e poi i blog e le riviste, e infine addirittura Bandcamp. Ero ritornato nel comfort da cui stavo scappando, mi ero ricreato un rifugio di “vecchi” dischi. Ed ecco che, inseriti in una narrazione tutta personale, avevano anche guadagnato un particolare legame tra loro. Tutto torna. Della curiosità verso la musica contemporanea era rimasto ben poco. Curiosità o forse mera FOMO? Qualsiasi cosa fosse, piano a piano era svanita sotto il peso della noia, della mediocrità, della fatica dovuta ad un costante inseguimento dell’algoritmo. E sì, alla fine ce l’ho fatta a non infrangere nessuna delle regole, e in teoria la challenge l’ho vinta. Ma non ho raggiunto davvero gli obiettivi originari. Ho forse fallito?
I botti dei fuochi d’artificio, poco alla volta, sono finiti. Ci mettiamo in macchina e guidiamo verso casa, dove mi aspetta un veglione con degli amici. Sto per estrarre le cuffie ed ascoltare tutto ciò che voglio, per la prima volta dopo esattamente 366 giorni, e provo un’emozione indescrivibile. Cosa mi rimane di questa esperienza oltre a questo brivido alla sola idea di indossare un paio di cuffie? Come nel più canonico romanzo di formazione, il protagonista di questa storia si è ritrovato, alla fine del viaggio, arricchito in modi che non avrebbe mai potuto prevedere. Ho esplorato generi che non avevo neanche sfiorato in passato. Il mio disco preferito ha finito per essere “Acelero” dei Crizin da Z.O., ed io non avevo mai ascoltato un disco funk brasileiro per intero in vita mia! Ho ripreso in mano la chitarra, con la scusa di suonare i brani che non potevo ascoltare (ok qualche zona grigia nel regolamento c’era). Ho sfruttato ogni occasione che avevo per ascoltare e parlare di musica in compagnia, e in alcuni casi ne ho anche create di nuove (un saluto alle ragazze e ai ragazzi di Dischi e Discorsi). E se non sono diventato un esperto della musica contemporanea (espressione che a questo punto significa poco e niente) ho sicuramente compreso molti meccanismi della musica nel contemporaneo.
Insomma, questa limitazione mi ha portato a sfruttare tutto ciò che avevo, rivalutare ciò a cui non avevo accesso e guardare con un occhio diverso tutto ciò che circonda la musica. Tutto sommato non ho fallito. Così mi rassicuravo in quella prima notte del 2025. Sapevo già da cosa cominciare, perché se la challenge si era conclusa in modo ciclico, tanto vale farlo come si deve. Le prime note di Chasing a Bee mi accompagnano fuori da quel sogno, dritto dentro il prossimo. Niente narrazioni, solo una canzone bella. Tanto vale ricominciare da qui.
Articolo a cura di Claudio Di Biase con la collaborazione della redazione.
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Grazie come sempre per il sostegno e il passaparola.
Complimenti, un articolo appassionato e ricco di spunti. Mi è piaciuto particolarmente l’affondo sul fare critica musicale oggi (argomento a me assai caro).
In diretta da Dischi + Discorsi. Super inaspettato e interessante la ciclicitá della creazione di dischi nuovi "comfort" e la riflessione sulla critica come filtro!