Beati e dannati nella musica di Bebawinigi
Teatro, cinema, danza, videogiochi e altre forme di resistenza
Virginia Quaranta è attrice e musicista, senza sposare nessuna delle due etichette e spaziando tra stimoli e generi con assoluta libertà creativa. Il suo percorso è segnato da diversi incroci, solo nel 2016 esordisce col progetto Bebawinigi con un album omonimo attraverso Strato Dischi Notlabel, una gestazione di un anno e mezzo. L’album è un viaggio inquietante tra violini strattonati, belati stereofonici, un clima fatato e gotico in cui la voce di Virginia scomoda paragoni importanti come quello con Diamanda Galás, di cui sicuramente recupera la forza teatrale ma da cui si discosta nell’approccio compositivo. Il 2022 è il momento di “Stupor” (Subsound Records), poco prima della release ufficiale usciva la sua intervista per Rolling Stone, a fine anno è in cima alle classifiche di riviste in tutto il mondo. Con un grammelot infantile che avrebbe fatto impazzire Johan Huzinga, “Stupor” è uno degli album più divertenti e radicali degli ultimi anni. Con Virginia abbiamo cercato di capire dove ludico e gotico trovano il loro equilibrio nella sua musica.
Il tuo percorso musicale ha trovato tra i suoi primi stimoli la musica per film. Guardandoti indietro vedi una continuità nel tuo approccio, oppure hai sviluppato metodi diversi per film e album.
L’arte, almeno così io credo, è una costante compenetrazione tra varie forme di espressione. Non ho mai percepito come distinte le varie forme di espressione artistica, le vedo sempre mescolate assieme. Per me è ovvio che teatro e cinema siano strettamente collegati con la musica. Molte persone dopo aver ascoltato il mio ultimo album, “Stupor”, dicono di sentirci una sorta di musica per film, e questo penso derivi dal fatto che quando scrivo cerco sempre di immaginarmi una situazione, un’atmosfera. È un po’ come evocare delle immagini che evidentemente spesso risultano cinematografiche in qualche modo. L’inizio del mio percorso coincide con questa consapevolezza che non ci sono cesure tra l’esperienza cinematografica, discografica e teatrale, anzi, mi piacerebbe farle convivere sempre di più assieme. Non ho un approccio diverso tra album, cinema, teatro, semplicemente il mio è un adattamento automatico. Essendo attrice teatrale non percepisco una interferenza del corpo nella scrittura, mi viene naturale. Devo dire che per il teatro finora ho composto poco, di solito mi occupo di altro, come stare sul palco o scrivere la drammaturgia, in totale avrò composto quattro-cinque musiche. È un problema che non mi sono mai posta, è un processo spontaneo.
Nella tua esperienza di spettatrice invece, c’è uno spettacolo che ricordi che ha influenzato o ha cambiato il modo che hai di approcciarti alla musica, alla vocalità?
Quando ero ragazzina e ho cominciato a frequentare il teatro rimasi molto colpita dalla qualità della compenetrazione tra musica e teatro. Ne cito uno che ho particolarmente a cuore, ovvero quando vidi per la prima volta uno spettacolo di quello che poi sarebbe stato il mio più grande maestro teatrale: Paolo Panaro. Ero piccola, e lui portava in scena La favola de Zosa, un lavoro in cui le parole e le storie venivano sorrette da una musica rinascimentale molto suggestiva, mi impressionò particolarmente. Mettere in relazione diversi linguaggi, compenetrarli, ibridarli, è un modo per esprimerli spontaneamente, senza che il tutto sembri eccessivamente studiato.
Teatro, cinema, musica, da cos’altro prendi ispirazione per questa continua ibridazione?
Quando compongo vengono coinvolti tanti aspetti creativi diversi, come il disegno. Mi capita spesso di fare illustrazioni che mi aiutano a definire meglio quello che ho in testa, oppure la danza: certe cose devo per forza ballarmele, e non è raro che un brano nasca anche dalla visione di una foto o da un sogno. Dato che sono molto legata al mondo ludico in generale, da diverso tempo penso che mi piacerebbe poter lavorare alla composizione di musica per videogiochi. In questo momento stiamo facendo un’intervista attraverso Discord, ma per me è piuttosto strano perché normalmente quando apro questa piattaforma è perché faccio la game master nei giochi di ruolo! Il mio primo PC l’ho avuto solo a 23 anni per scrivere la tesi, quindi da ragazzina l’unico modo per fare esperienza dei videogiochi era andare dai miei cugini più grandi. Ricordo nitidamente come restai folgorata guardandoli giocare a The Secret of Monkey Island [1990, Ron Gilbert, LucasArts]. Mi rimase molto impressa la colonna sonora, tanto che mi ritornò in mente durante il primo lockdown. Pensavo che avrei davvero voluto giocare a quel gioco che tanto mi intratteneva dai miei cugini, ma era passato tanto tempo e ricordavo giusto qualche sprazzo, e mentre canticchiavo tra me e me un mio amico musicista mi disse: «Ma questo è Monkey Island! Come fai a ricordarti la musica del cimitero di Monkey Island 2?». E così durante il lockdown me li sparai tutti uno dietro l’altro, coronando un sogno. Adoro i puzzle game, per esempio anche i lavori della Amanita Design come Machinarium [2009], Botanicula [2012], la saga di Samorost [2003-2016], ma anche altri videogame indipendenti come quelli della danese Playdead, quelli di Limbo [2010] e Inside [2016]. Parlando di retrogame punta e clicca ho amato molto The Last Door [2013, The Game Kitchen]. In realtà ho già composto qualcosa, dovrebbe chiamarsi “Musiche per un immaginario videogioco”, ma c’è tempo prima di dichiararlo ufficialmente.
A questo punto dell’intervista dalla redazione si alza la voce di Luca, che illuminato dalla passione di Virginia le propone tre consigli videoludici (che ci teniamo abbiate anche voi):
- Blackwell. Avventura grafica. Saga in cinque capitoli, in crescendo. Dave Gilbert (2006-2014, Wadjet Eye Games).
- Twelve Minutes. Avventura grafica. Tre personaggi interpretati da James McAvoy, Daisy Ridley, Willem Dafoe e venti minuti per risolvere un caso. Luis Antonio (2021, Annapurna Interactive).
- Gemini Rue. Avventura grafica. Puzzle ambientali dentro una cornice grafica e musicale memorabile. Joshua Nuernberger (2011, Wadjet Eye Games).
In diverse interviste riguardo “Stupor” parli spesso della parte “bambinesca” di Bebawinigi, parlaci della parte “adulta”.
La mia fortuna è quella di essere circondata da “weird” come me, quindi non sento tutta questa necessità di mostrarmi “adulta”. Certo, la vita tende a metterti di fronte tante cose per cui devi essere sul pezzo: hai da pagare un affitto, devi guadagnare, devi scontrarti col mostro della burocrazia. Personalmente cerco di sempre di cavarmi fuori immediatamente da queste parentesi noiose della vita, per concentrarmi su altro. L’altro giorno con i miei amici stavamo guardando una foto del mio compleanno, dato che sono nata a febbraio abbiamo sempre fatto feste in maschera, e nel guardarci in quella foto ho detto: «Ma siamo tutti gente “inutile”! Uno Sceneggiatore, una costumista, un musicista, un cantante, un attore, tutte persone inutili per la società!». Però quantomeno sappiamo ancora divertirci assieme. Anche i miei familiari pongono una certa cura per il tempo libero, d’inverno giochiamo moltissimo ai giochi da tavolo, mentre d’estate prendiamo gli strumenti e cantiamo tutti assieme. Col mio bimbo di un anno la dimensione ludica è persino raddoppiata.
Come vivi questa asincronia tra l’essere un’artista criticamente molto riconosciuta e la difficoltà di lavorare in Italia?
Purtroppo questo è un tasto dolente. Ci fossimo trovati in un paese diverso a questo punto ne sarebbero usciti cinque di “Stupor”. Bisogna lottare. Ricordo che una volta Teo Teardo mi disse: «Guarda Virginia, la nostra non è una gara di velocità, è una gara di resistenza». È vero: “Stupor” è riconosciuto in tutto il mondo, ma nessuno lo sa! Di certo non lo sa il mio vicino di casa o il tizio con cui ho parlato al bar l’altra sera, per questo dico che siamo persone “inutili”. Dietro l’ultimo album c’è stata una lavorazione di diversi anni, posso dire che la gestazione di un figlio è stata molto più breve e meno dolorosa di “Stupor”. Alla fine cerco di non pensarci, preferisco lasciare spazio ai pensieri creativi. Nel quotidiano l’idea ti accompagna sempre, ritengo che la creazione sia un’ossessione. L’ho riscontrato anche con i miei colleghi. La creazione ti ossessiona anche mentre dormi. Ti svegli di botto e scrivi quella cosa perché ti è venuta la folgorazione, poi ti riaddormenti - restando desto nel flusso creativo. Nella testa ho sempre questa continua creazione di cose, le sinapsi creano connessioni per trovare nuove cose che non mi annoino.
Finora abbiamo parlato tantissimo di ludico, ma nella tua musica c’è anche una chiave fortemente grottesca. Cosa ti viene in mente quando pensi al grottesco?
La prima cosa che mi viene in mente sono le figure dei dannati e dei beati sulla facciata della cattedrale di Bamberga. La mia passione per il grottesco arriva dallo studio dell’arte, in particolare dall’espressionismo, che ne fu l’innesco. Tanti miei input emergono dalle immagini, e ricordo bene la mia meraviglia di fronte ai libri di storia dell’arte da piccola. Capii ben presto che nel grottesco c’è una compenetrazione tra tragico e comico alla quale segue sempre qualcosa di sgradevole. Poli opposti ma contaminati l’uno con l’altro. Già da allora cominciai a pensare quanto potesse essere bello approfondire questo aspetto dell’umanità, e Bebawinigi nasce proprio da questa trasversalità.
Per chiudere ci piaceva fare un gioco con te: ti leggiamo da una recensione di “Stupor” trovata su Rate Your Music una serie di influenze date per scontate nel tuo processo creativo. Ci serve solo che tu risponda “Sì” o “No” o “Non conosco” ad ognuna di esse. Allora…
Atari Teenage Riot: No.
Cibo Matto: No.
Jarboe: No.
Sleater-Kinney: No.
Dan Deacon: No.
Gong: Ok, quelli di prima ammetto che metà li conosco mentre gli altri no, ma comunque sia non hanno influenzato niente del mio approccio. Al contrario i Gong li conosco bene, però direi che non ho preso nulla da loro per “Stupor”.
Per onestà intellettuale va chiarito a questo punto che non tutti i nomi presenti in questa lista vengono dalla suddetta recensione, ma alcuni li abbiamo per scherzo aggiunti noi e tra questi c’erano proprio i Gong.
Vampire Rodents: No.
Peter Gabriel: Non riesco a non volergli tanto bene a Peter Gabriel, però no.
Julia Holter: No.
Lingua Ignota: No.
AJJ: No.
Mt. Egypt: No. Non so neanche chi siano.
Enzo Jannacci: (ride) Certe sue canzoni mi piacciano molto ma davvero non so dove l’abbiano tirato fuori.
Beyoncé: No.
Babes in Toyland: Fanno parte del mio background musicale, che in qualche modo magari può essere emerso ma non era voluto.
Diamanda Galás: Sì. Però non ho composto dei brani pensando a lei, è una cantante che mi ha ispirato e quindi c’è un po’ di lei nel mio modo di fare musica.
Mary Margaret O'Hara: No.
The Velvet Underground: Li ascolti tipicamente quando sei giovane, ma non ne percepisco l’influenza.
Béla Bartók: Lo adoro ma no.
Beach Boys: No. Ma perché poi?
Edvard Grieg: Chi è che non lo ama? Lo cito anche in “Stupor”, penso sia un po’ tautologico confermarlo…
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